Perché tante diete propongono di eliminare i carboidrati dalla tavola? La principale accusa da parte dei promotori delle diete con pochi o pochissimi carboidrati  (low carb o no carb) è che essi siano responsabili di picchi glicemici, ossia di alti livelli di glucosio nel sangue. Una successione di picchi di glicemia protratta nel tempo è effettivamente responsabile di una risposta sempre meno efficace all’insulina e della conseguente trasformazione del glucosio in trigliceridi, con alto rischio di diabete e obesità. Chi lancia queste accuse, però, non tiene conto delle grandi differenze tra i vari tipi di carboidrati e della composizione complessiva dei pasti. I carboidrati complessi a lento assorbimento sono l’alimento base di tutti gli sportivi, perché forniscono energia pulita, innalzano gradualmente la glicemia e danno una duratura sensazione di sazietà. In un pasto che comprenda un piatto di pasta cotta al dente, accompagnata da abbondanti verdure troviamo, infatti, solo alimenti con indice glicemico (IG) basso, che saziano con calorie pulite. Tutti i pasti con carboidrati complessi e fibre, solubili o insolubili, favoriscono il controllo dell’IG, soprattutto quando aggiungiamo olio extravergine di oliva che, oltre ad apportare potenti molecole antinfiammatorie, riduce la risposta glicemica. Tra l’altro anche la struttura cellulare degli alimenti condiziona  la risposta glicemica: in cereali, semi e verdure crude la probabilità che la parete cellulare possa rompersi nella cottura (o nella lavorazione) è più elevata, e questo fa aumentare l’IG: le patate lesse schiacciate, pertanto, possono avere un IG maggiore rispetto alle patate intere bollite.

I carboidrati hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione umana, rappresentando la principale fonte di energia per l’organismo. In media forniscono 4 kcal per grammo (esattamente come le proteine e molto meno dei lipidi) e, secondo le Linee guida per una corretta alimentazione, dovrebbero fornire il 55-60% delle calorie giornaliere. Di questo importante apporto calorico non più del 10% dovrebbe provenire da zuccheri semplici. Uno studio pubblicato su The Lancet nel 2018, che ha studiato le abitudini alimentari e la salute di oltre 15.000 adulti tra i 45 e i 64 anni, conforta e supporta queste indicazioni. Un rischio di mortalità maggiore è risultato associato sia a bassi consumi di carboidrati (meno del 40% dell’apporto calorico) sia ad alti consumi di  carboidrati (più del 70%) rispetto a chi li assumeva secondo le indicazioni della Dieta mediterranea (50-55%). Anche se andiamo a esaminare le abitudini alimentari delle aree dove si vive più a lungo (le Blue Zones), vediamo che i più longevi sono persone magre, il cui consumo di carboidrati va dal 50 al 67%. A Okinawa, in Giappone, si consumano il 58% di carboidrati a basso IG (patate, verdure e legumi); nell’Ogliastra, in Sardegna, il consumo di carboidrati è addirittura tra il 62 e il 67%, soprattutto attraverso grano duro, verdure, orzo e patate.

Dovrebbe essere chiaro, allora, che chi parla di carboidrati senza specificarne il tipo, non sa di che parla. Chi è interessato ad un’alimentazione sana e bilanciata deve, invece, imparare a conoscere le differenze tra carboidrati complessi e zuccheri semplici e le differenze tra alimenti integrali e non. Nel caso del riso, insieme ad un bassissimo apporto proteico (utile per chi ha insufficienza renale), è importante conoscere il grande apporto di fibre della varietà Venere (5 grammi) rispetto al riso brillato (solo 1 grammo): il primo ha basso IG, il secondo alto. Anche per la pasta di semola la presenza di molte fibre nel prodotto integrale (ben 7 grammi) abbassa il valore energetico (330 Kcal contro le 356 della pasta non integrale), ma entrambi i prodotti presentano un IG basso e sono adatti al consumo quotidiano. Per il pane, infine, l’IG è basso per le varietà integrali e di segale, intermedio per il pane a lievitazione naturale, alto (e con molte calorie in più, circa 40 per 100 g) per il pane bianco (nella foto Le vagliatrici di grano di Gustave Courbet, 1854)