20 anni di pallavolo in una Comunità: la comunità si chiama Fratello Sole, è nata a Santa Marinella nel 1978, ed è stata una delle prime strutture di recupero per i tossicodipendenti – allora quasi tutte persone con dipendenza da eroina – in Italia. Gli operatori storici, cioè vecchi, della comunità hanno iniziato tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. Io sono uno di loro. Le mie competenze hanno fin dall’inizio riguardato la salute fisica degli utenti che trascorrevano un paio d’anni in comunità per ritrovarsi e riprendersi. Quindi, prevenzione delle malattie infettive – allora HIV/AIDS ed epatite B da HBV – igiene e alimentazione, ma anche movimento e attività sportive.

Nei primi anni ’90 la comunità Fratello Sole – con utenza allora prevalentemente maschile –  ha privilegiato il calcio, sport nazionale e di fatto praticato da quasi tutti gli italiani, tossicodipendenti compresi. I primi anni l’attività sportiva prevalente – quasi esclusiva – fu, pertanto, il calcio. Da un lato gagliarde partitelle quotidiane appena dopo pranzo; dall’altro il lunedì sera un’impegnativa scadenza settimanale: un’amichevole contro gli Amatori Santa Severa di Enzo Mei militante in II categoria. Il calcio, però, per essere utilizzato come attività di recupero e riabilitativa presentava allora – e presenta ancora oggi – diversi limiti: per prima cosa non è un gioco sportivo che si presta poco all’attività mista, con la contemporanea presenza femminile e maschile; in secondo luogo, prevede un continuo contatto fisico che può avvantaggiare le personalità più aggressive; il calcio, infine, è un’attività in cui sono frequenti traumi e incidenti di gioco, con conseguenti inabilità che possono interferire con percorsi di formazione o lavoro. Tra i tanti possibili sport di squadra, avendo in mente inizialmente soprattutto il coinvolgimento della piccola componente femminile della comunità, si è pensato, allora, che la pallavolo avrebbe potuto dare il suo contributo nel recupero psico-fisico degli ospiti, come aveva sino allora aiutato me e tanti altri semplicemente a stare bene.

Il pensiero di allargare la pratica sportiva ad altri sport – soprattutto per coinvolgere la parte femminile della comunità – convinse me e Alberto Poerio, uno degli psicologi della struttura con cui condividevo la passione sportiva, a inserire la pallavolo nelle attività di recupero fisico e mentale. La presenza di Fratello Sole nella pallavolo locale inizia, pertanto, agli inizi degli anni ‘90, con la passione mia, di Alberto e di Franco Piersanti, insegnante di educazione fisica e allenatore FIPAV. I primi anni non disponevamo di una palestra, per cui ci impegnavamo principalmente nel beach-volley estivo e in una pallavolo in formato ridotto, 4 contro 4 nel cortile della struttura. In diverse occasioni abbiamo coinvolto i ragazzi di Santa Severa con mini-tornei all’aperto nel nostro cortile o nelle spiagge. Ricordo con tenerezza i tre tornei “interni” che si disputarono dal ‘93 al ’95 tra ospiti, obiettori di coscienza, lavoratori della tipografia e operatori. Per me giocare era abbastanza naturale, visto che mi allenavo regolarmente in una squadra locale 2 o 3 sere a settimana; la cosa incredibile fu riuscire a coinvolgere anche altri psicologi – come Fabio Tini in canottiera balneare – e, addirittura, Roberto Carotenuto, coinvolto in un unico memorabile set per convincere una sua paziente a giocare. Ci prendevamo a pallonate dalle due alle tre del pomeriggio per rientrare poi, sudatissimi, nelle varie attività della comunità.  La memoria corre al primo torneo serio cui partecipammo nell’inverno 92/93. Si giocava a Roma, sulla Cassia, in una palestra molto bella di un liceo con altre quattro squadre molto più forti di noi contro ragazzi e ragazze che probabilmente giocavano anche in campionati ufficiali. Arrivammo quarti, o penultimi a seconda dei punti di vista, ma le ricadute di quella manifestazione furono tante e importanti. Ci confrontammo come gruppo con altri gruppi, imparammo tutti, ospiti ed operatori, la superiorità del collettivo sul singolo uscendo quando giocavamo male ed entrando quando giocavamo bene; appezzammo infine il positivo rituale che precede le competizioni: il viaggio insieme, la carica nello spogliatoio, I’incoraggiamento dentro e fuori il campo. Sempre in quegli anni ricordo anche una bella esperienza al carcere minorile di Casal del Marmo. A differenza della volta precedente, nella quale il confronto sportivo era stato una brutta partita di calcio brutta, falsata dall’eccessiva aggressività dei ragazzi dell’istituto, questa volta il momento sportivo fu un piccolo quadrangolare di pallavolo con due squadre nostre e due loro. Andò tutto bene e ci lasciammo con la forte impressione di aver utilizzato uno gioco sportivo molto più adatto del calcio a tale genere di incontri. Dopo aver partecipato a diverse manifestazioni, finalmente decidemmo di organizzare noi un torneo.  (nella foto il libro Eroina del sociologo Guido Blumir, uscito nel 1976 per la Feltrinelli) (segue)