Altruismo e cooperazione hanno avuto sinora poco spazio nella teoria evoluzionistica di Darwin. La maggior parte dei seguaci di Darwin e gran parte dei biologi, infatti, ritengono mutazioni genetiche e selezione naturale le due colonne portanti della teoria darwiniana dell’evoluzione. Per molte specie – sia vegetali sia animali – esiste, però, una terza colonna: la predisposizione biologica a cooperare. Nella storia della biologia moderna – a partire dalla pubblicazione dell’Origine della specie di Charles Darwin nel 1859 – l’evoluzionismo ha messo l’accento quasi prevalentemente sugli aspetti di competizione e violenza (la lotta per la vita e la sopravvivenza del più adatto) presenti nel mondo animale. Il capostipite di questa tendenza è stato sicuramente Thomas Henry Huxley, il famoso “mastino di Darwin”, che nel difendere l’evoluzionismo ha sempre minimizzato gli impulsi altruistici degli animali, già ben conosciuti. Anche allora qualcuno ha provato a contestare questa visione egoistica dell’evoluzione; nel 1902 Il mutuo appoggio del naturalista russo P. A. Kropoktin aveva riportato – e amplificato – molte storie di altruismo e solidarietà animali che si opponevano all’evoluzionismo sociale, che giustificava la sopraffazione dei più forti a danno dei più deboli e avrebbe portato alla giustificazione dell’eugenetica e del razzismo scientifico (Kropotkin era un principe seguace dell’anarchia). Con un salto di molti anni arriviamo intorno agli anni Settanta, alla sociobiologia di E. O.Wilson e ai popolarissimi libri di Richard Dawkins: la biologia sembra vedere nell’egoismo genetico la spinta centrale di tutti gli organismi viventi, compresi gli umani.

Le cose per fortuna stanno cambiando e sempre più ricerche stanno documentando il valore biologico della cooperazione e dell’altruismo. Cominciando dalla nostra specie, recenti ricerche condotte dall’Istituto Max Planck in Germania hanno dimostrato che i bambini – anche molto piccoli – tendono a collaborare fra loro e con adulti che hanno appena conosciuto. Anche la scoperta dei neuroni specchio, avvenuta all’Università di Parma a metà degli anni ‘80, ha mostrato quanto siamo biologicamente predisposti per relazionarci agli altri. Ma i più interessanti contributi arrivano oggi dai primatologi, in particolare dagli studi e dai libri del biologo belga Frans de Waal, grande esperto di scimpanzé e bonobo, le due specie con cui condividiamo oltre il 98,5% del DNA. I bonobo sono stati riconosciuti come nuova specie soltanto nel 1929 – prima erano considerati degli scimpanzé nani – e presentano, su scala ridotta, un’anatomia molto simile alla nostra, con le gambe più lunghe e il corpo più armonioso delle altre scimmie antropomorfe. Noi umani moderni siamo il risultato dell’evoluzione di un antenato comune a noi, agli scimpanzé e ai bonobo. Secondo de Waal la nostra specie da una parte ha ereditato aggressività, violenza, forma gerarchica della società (presenti anche negli scimpanzé), ma dall’altra ha ricevuto altre qualità – come generosità  gentilezza e altruismo – tipiche dei bonobo. Nel suo lavoro Il bonobo e l’ateo (2013) de Waal va oltre e dice che probabilmente anche il desiderio di equità, l’empatia e la moralità non arrivano con le prime società umane ma fanno parte della biologia dei Primati. L’empatia è la capacità di essere sensibili alle situazioni e alle emozioni degli altri. De Waal ci ricorda che bonobo e scimpanzé sono capaci di empatia, come noi e che l’empatia è presente in tutti i mammiferi, come derivato delle cure materne. Per questo motivo – dice de Waal – le donne hanno un livello di empatia più alto degli uomini e l’ossitocina, ormone della maternità, agisce sull’empatia. Da molti anni gli studi sulle comunità di bonobo e scimpanzé dimostrano la presenza di quelli che de Waal chiama gli ingredienti per la costruzione della moralità. L’etica – pertanto – sarebbe anteriore all’umanità e nascerebbe dal basso, nel mondo animale e solo in un secondo momento le culture umane – e le religioni in particolare – sono intervenute per rafforzare alcuni comportamenti. La morale – conclude de Waal – sembrava l’ultima caratteristica esclusivamente umana: in realtà, anche qui noi esseri umani siamo speciali, ma non unici. La conclusione è che la propensione all’altruismo e alla cooperazione hanno basi biologiche ed evolutive; quando aiutiamo gli altri, si attivano le aree del cervello legate al sistema della ricompensa, confermando ciò che da sempre sappiamo: fare bene agli altri ci fa stare bene (nella foto I lavori della carità di David Tenier il giovane, 1640).