Carestie e politica
“La fame cronica e quella epidemica conseguenti alle carestie sono state sempre all’origine di profonde trasformazioni nelle società, in quanto causa di migrazioni, di cambiamenti economici, politici, sociali, e in casi estremi, dell’estinzione di intere popolazioni.” Come ha scritto alcuni anni fa Massimo Cresta – alla voce Fame per l’Enciclopedia Treccani – la storia delle carestie di fatto coincide con la storia della nostra specie. L’arrivo stesso dell’agricoltura in Europa è probabilmente riconducibile a una carestia. La forte pressione demografica, infatti, spinse 7.000-8.000 anni fa parte delle popolazioni della Mezzaluna Fertile a lasciare le proprie terre per migrare in Europa, introducendo le prime colture di cereali. Fino a un secolo fa le carestie si verificavano in ogni parte del mondo, più o meno sviluppata. Nel Paese che per primo ha avuto la Rivoluzione industriale – la Gran Bretagna – sono state censite dal I secolo a metà ‘800 quasi 190 carestie e di queste solo un terzo era dovuta a fattori climatici – ricorda Cresta – perché il clima non è mai stato l’unica causa delle carestie. Le grandi carestie sono quasi sempre il risultato di componenti climatiche-ambientali e scelte politiche. Un esempio in tal senso è la Grande carestia irlandese di metà Ottocento. Tra il 1845 e il 1852 le immense coltivazioni di patate, allora pianta energetica base degli Irlandesi, furono attaccate da un fungo (Peronospora) e distrutte: le poche varietà di patate coltivate, infatti, erano tutte sensibili al parassita. Per la riduzione di biodiversità – c’erano centinaia di diverse varietà della pianta, ma si scelsero solo quelle più produttive – vi furono oltre un milioni di morti e altrettanti emigranti verso l’America e l’Australia, con una riduzione di circa il 30% della popolazione. Al censimento del 1841 risultavano 8,2 milioni di individui, al successivo, dieci anni dopo, la popolazione era scesa a 6,2 milioni. Secondo lo storico Tim Pat Coogan la carestia irlandese fu in realtà un atto di genocidio compiuto dagli inglesi per motivi opportunistici. La colpa fu del governo guidato da Lord John Russell, tenace sostenitore di un liberismo sfrenato. La crisi del raccolto delle patate offrì l’occasione per riorganizzazione l’economia con il consolidamento delle piccole proprietà terriere e lo smaltimento della popolazione in soprannumero. Londra – per lo storico irlandese – fece di tutto per far morire o costringere all’emigrazione le masse di contadini, consentendo ai proprietari terrieri di convertire la produzione verso modalità più redditizie. Mentre gli irlandesi morivano di fame, dai porti irlandesi decine di navi inglesi partivano alla volta dell’Inghilterra, cariche di generi alimentari. Venti anni dopo la tragica vicenda irlandese, la storia si è ripetuta in Asia con la Grande carestia indiana. “Olocausti tardovittoriani” (2002, Feltrinelli) dello storico statunitense Mike Davis racconta la devastante siccità che, dal 1876 al 1902, ha causato la morte – per fame o malattia – di più di 50 milioni di contadini in Asia e America Latina. El Niño è un fenomeno climatico che periodicamente provoca un riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico. Nell’estate del 1876 El Niño fu responsabile in India di un’estate senza monsoni che causò una gravissima siccità nelle campagne. Negli ultimi tre anni, però, i raccolti di frumento e di riso erano stati sopra la media: le scorte accumulate avrebbero permesso di nutrire la popolazione affamata. Come 20 anni prima in Irlanda, su un gravissimo problema climatico si inserì una scelta politica, improntata ai principi del liberismo: il Viceré Lord Litton e le autorità colonialiste inglesi decisero di svuotare comunque i granai indiani per destinarli all’esportazione. Le nuove ferrovie indiane, pubblicizzate come l’innovazione che avrebbe salvaguardato il paese dalle carestie, furono in realtà utilizzate dalle autorità coloniali per convogliare i cereali destinate all’esportazione, mentre gli Indiani morivano di fame per le strade delle città e nelle campagne. Davis ha avuto il grande merito di ricostruire la tragedia indiana, pressoché ignorata dalla storia ufficiale, mostrando come la carestia fu utilizzata per riequilibrare il rapporto tra popolazione e risorse. Per Davis il capitalismo inglese – ispirato alle teorie di Malthus e Adam Smith – ritenne naturale ridurre la sovrappopolazione della colonia attraverso la mano invisibile e autoregolatrice del mercato. La natura da sola non uccide fra i 30 e i 40 milioni di persone – ricorda Davis – El Niño c’era prima e c’è stato dopo: la vera causa della Grande carestia indiana è stato l’imperialismo coloniale inglese. (nella foto The Famine Memorial di Rowan Gillespie, Dublino)
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