Il 10 luglio del 1976 a Seveso e in alcuni comuni vicini (Meda, Cesano Maderno) una nube tossica contenente elevate quantità di diossina contaminò una vasta area di territorio. Seveso è un piccolo comune della bassa Brianza, a 20 chilometri da Milano; in quegli anni contava 15.000 residenti e diversi stabilimenti industriali nei dintorni, tra i quali gli impianti chimici della società elvetica Icmesa (gruppo Givoudan-La Roche, quello dei farmaci), adibita alla produzione di triclorofenolo, componente di cosmetici e diserbanti. Per un improvviso innalzamento della temperatura, il sistema di sicurezza della fabbrica dell’Icmesa ruppe le guarnizioni e fece fuoriuscire una nube in cui si erano già prodotte diossine di tipo Tcdd, (2,3,7,8 tetraclorodibenzo-p-diossina), le più pericolose, classificata come carcinogeno di prima classe. Una buona parte dei residenti fu evacuata; le case vennero sgomberate e bonificate. Pur non essendovi nessuna vittima ufficiale, le diossine sprigionate dalla fabbrica hanno provocato nel tempo (tossicità cronica) pesanti effetti sulla salute: questi composti, infatti, non provocano danni biologici immediati (tossicità acuta), ma si sciolgono facilmente nei grassi, contaminando gli animali e persistendo su piante e smura delle abitazioni.  In uno studio dell’Università di Milano (pubblicato su Plos Medicine) si è rilevato – ancora oggi a distanza di 40 anni dall’incidente – un rischio maggiore di cancro al seno e di tumori linfatici e del sangue per le donne che abitano nella zona a più alta contaminazione. Giulio Maccacaro fece il primo numero della nuova serie di Sapere (nella foto) su Seveso; la rivista si apriva con queste parole “Seveso, un crimine di pace. Data: 10 luglio 1976; luogo: Seveso e altri comuni della Brianza; colpevole: Icmesa di Meda; mandante: Hoffmann-La Roche di Basilea; complici: governanti e amministratori italiani di vario livello (centrale, regionale, locale); arma: organizzazione scientifica di produzioni tossiche; reato: lesioni e danni di varia natura e gravità; vittime: lavoratori, popolazione, ambiente”. Seveso è stato il primo grande disastro ambientale che ha ricevuto attenzione media; dopo Seveso è entrata in vigore la direttiva europea 96/82/CE, che impone il censimento di tutti i siti industriali ad alto rischio.

La zona industriale apuana, nella provincia di Massa Carrara, comprendeva fino alla seconda metà degli anni ottanta un importante polo chimico, con gli stabilimenti Farmoplant-Montedison, Rumianca, Anic-Agricoltura, Sialga e altre aziende. Una lunga serie di incidenti –  iniziati a metà anni 70 e culminati nel luglio 1988 con due esplosioni nello stabilimento Farmoplant – hanno portato al progressivo smantellamento di tutta l’area industriale chimica. La Farmoplant era stata da tempo messa sotto accusa –  da Medicina Democratica e dall’Assemblea Permanente dei Cittadini –  per la serie di incidenti che si erano succeduti dal 1976: esplosioni, incendi, infortuni mortali, inquinamento della falda freatica, perdita di sostanze tossiche e conseguente spargimento di sostanze maleodoranti. Nell’ottobre del 1987, un referendum tra gli abitanti di Massa era finalmente riuscito ad ottenere la chiusura dello stabilimento, posto a pochi chilometri dal centro città e vicinissimo ad Avenza e Marina di Carrara. Una sentenza successiva del Tar, tuttavia, aveva permesso la riapertura dell’impianto, poiché in seguito ad alcune modifiche apportate l’azienda si poteva considerare “affidabile e sicura, nonché a basso rischio di inquinamento”. La mattina del 17 luglio 1988, alle 6.15, alla Farmoplant scoppiò una cisterna di 40 metri cubi contenente Rogorpesticida usato su olivi, ortaggi, cereali, agrumi e fragole – e cicloesanone (un solvente), entrambi altamente tossici. L’incendio fu spento dopo alcune ore, ma una gigantesca nube nera si alzò in cielo. Circa 50.000 persone, tra villeggianti e residenti, in piena stagione turistica, scapparono cercando rifugio verso le Alpi Apuane. Nonostante le centinaia di intossicati, per 30 ore non venne dato un allarme ufficiale e la popolazione non fu informata della gravità dell’incidente. L’incidente diede la misura dell’effettiva pericolosità dell’impianto, che fu finalmente chiuso e dismesso. L’impatto del polo chimico apuano sulla salute dei cittadini delle zone limitrofe agli stabilimenti emerge da diversi dati epidemiologici: rispetto alla media toscana i residenti di Massa e Carrara hanno indici di maggior mortalità maschile rispettivamente del 53% e del 69% per i tumori al fegato, del 64% e del 52% per i tumori della laringe, del 131% per il tumore della pleura (studio Ifc-Cnr di Pisa). Come denunciarono allora la rivista Sapere e Medicina Democratica, Seveso e Massa sono stati due esempi di organizzazione scientifica di produzioni tossiche. Gli operai degli stabilimenti che vivevano con le loro famiglie nei pressi delle fabbriche sono stati vittime tre volte: come lavoratori, come popolazione e come ambiente. (2007)