Come mangiavamo nel secolo scorso?  Nel  1884 l’Inchiesta Parlamentare Jacini (vedi Atti dell’inchiesta agraria) sulle condizioni dell’agricoltura italiana fornì un quadro dell’alimentazione in Italia a tavola non molto diversa dai Paesi in Via di Sviluppo. L’aspetto più caratteristico di quegli anni era la monotonia alimentare dei nostri antenati. Il pane era il cibo principale, accompagnato da zuppe, minestre, “erbaggi” (e persino alcol, anche ai minori per non sentire la fame): un’Italia con tanto lavoro manuale, tanta fatica fisica e cibo scarso. Di conseguenza era assai diffusa la malnutrizione: i bambini crescevano poco e male, molto frequenti erano anemie e rachitismo: la mortalità infantile era molto alta, le bambine anticipavano il menarca. Oltre a essere scarso, il cibo non era per niente sicuro dal punto di vista igienico e, pertanto, le tossinfezioni alimentari erano all’ordine del giorno.

Con un salto di 50 anni arriviamo al periodo tra le due guerre mondiali – gli anni ’20 e ’30 del Novecento – e notiamo un leggero miglioramento degli apporti energetici e dello stato nutrizionale degli italiani. La grande varietà di cibi di oggi era un sogno, si mangiavano sempre le stesse cose; i pochissimi alimenti a disposizione creavano il rischio di malattie da carenze nutrizionali; in quegli anni quando il prezzo del grano saliva, il mais diventava l’unico cibo a disposizione dei contadini più poveri: la polenta prendeva il posto del pane, e la carenza di vitamine del gruppo B causava una malattia della pelle detta pellagra –  pelle agra, secca – in particolare nel Veneto dove la dieta dei contadini poteva prevedere anche due o tre chili di polenta al giorno; su circa un milione di contadini veneti in quegli anni 55.000 erano pellagrosi.

Gli anni ’50 – con il boom economico del decennio successivo – sono il periodo che vede un netto miglioramento dello stato nutrizionale e la scomparsa delle malattie da carenza. Gli italiani in quegli anni seguivano una dieta che oggi diremmo mediterranea, con oltre il 60% dell’energia dai carboidrati complessi (pane e pasta), un ottimo rapporto 2:1 tra proteine vegetali (cereali, legumi secchi e frutta secca) e proteine animali; dai grassi arrivava il 22% dell’energia, con leggera prevalenza dei grassi vegetali (olio d’oliva) su quelli animali (carni, formaggi, condimenti come strutto). La grande diffusione di prodotti alimentari di pregio – come carne, latte e formaggi – non creò nessun problema a livello nutrizionale, dato che si innestava su una dieta frugale ricca di cereali e verdure. Un aspetto rilevante fu la generale diminuzione dello sforzo fisico legato al lavoro agricolo – per l’introduzione di macchinari – e la maggior disponibilità di tempo per il riposo.

L’ultimo salto ci porta ai giorni nostri, in particolare agli ultimi 20 anni, con il progressivo allontanamento dalla dieta mediterranea, l’aumento esponenziale della sedentarietà – legato alla riduzione dei lavori manuali e alla diffusa motorizzazione del Paese – e la diffusione modelli alimentari sempre meno frugali e conviviali. Negli ultimi 100 anni il miglioramento dell’alimentazione ha portato la statura media degli italiani dai 163 cm del 1861 ai 175 cm del 1978: questo aumento di 12 centimetri è sicuramente un buon indicatore delle migliorate condizioni di vita della popolazioni grazie ai maggior apporti di calorie e proteine. Osservando le variazioni dei consumi alimentari sono pochi gli alimenti che vengono mangiati di meno: carni ovine e caprine,  risone e cereali minori (mais, segale e orzo); preoccupa di più il minor consumo di legumi secchi e frutta secca, preziosa fonte di proteine vegetali; risultano in leggero aumento i consumi di ortaggi e olio d’oliva, alimenti molto protettivi, e di uova, patate e frumento; frutta fresca, agrumi e pomodori sono in discreto aumento così come carne bovina e caffè; sono in forte aumento il consumo di latte e formaggi, burro e zucchero, carni suine e – per fortuna –  pesce fresco. Volendo tirare delle parziali conclusioni, possiamo dire che la dieta Italiana è stata piuttosto aderente al modello mediterraneo fino agli anni ’60, con due sole criticità: il ridotto apporto di proteine di origine animale e l’elevato consumo di alcol. Dagli anni ‘70 in poi i consumi di proteine vegetali e carboidrati sono scesi progressivamente, venendo sostituiti da sempre più proteine animali e sempre più grassi, in particolare di origine animale. Mettendo a confronto la dieta media italiana degli anni ’50 con quella odierna, il peggioramento nutrizionale è evidente: prima circa il 10-12% di energia proveniva dalle proteine vegetali (soprattutto grazie ai legumi secchi), oggi solo la metà; l’energia proveniente dalle proteine animali è triplicata: dal 2-3% degli anni ’50 al 7% di oggi; risulta sicuramente positivo l’aumento dei grassi vegetali, legati al maggior consumo di olio d’oliva (dal 10 al 21%) ma controbilanciato in negativo dal corrispondente aumento dei grassi animali (burro) dal 9 al 17%; significativa la riduzione di alcol, oggi quasi dimezzata (dal 6,3 al 3,7%) rispetto al passato, ma altrettanto significativo la forte riduzione del consumo di carboidrati: dal 62 al 45% con tendenza ancora al calo.

A conclusione di questa sintetica rassegna delle variazioni della nostra dieta nel corso del tempo, riteniamo che per le rilevazioni dei prossimi anni sarà importante soprattutto quantificare il consumo di cibi industriali ultra-processati (piatti pronti, dolci industriali, bibite zuccherate, snack e simili) una tipologia di prodotti associati all’obesità in adulti e bambini e ad un aumento del rischio per tutte le malattie infiammatorie. Al momento l’Italia – grazie alle importanti tradizioni gastronomiche regionali – ricorre pochissimo ai cibi finti acquistati ala supermercato (dal 10 al 15 %), mentre in un pasto medio statunitense ben due terzi delle calorie (il 65%) provengono da questi pseudo-cibi. Il prezzo che gli americani pagano, in termini di salute, è davvero salato: rispetto a noi Italiani hanno il quadruplo dell’obesità e dei tumori al colon, 5 volte più tumori al pancreas e ben 6 volte più diabetici. Ludwig Feuerbach ha scritto: “L’uomo è ciò che mangia”. Tradotto in termini moderni: “L’uomo è – e si ammala – in base a ciò che mangia”. (nella foto il Rapporto Coop 2016 sui consumi in Italia, sulla base dei dati Nielsen)