Crimini di pace a Massa è un articolo che ho scritto nel 1980 per contestare la falsa alternativa tra salute e occupazione che veniva posta dalla Montedison. Il titolo si isipira a quello di 4 anni prima della rivista Sapere (Seveso, un crimine di pace, nov. dic 1976) sul disastro ambientale di Seveso.

“Non è facile parlare della Montedison di Massa. Non è facile, soprattutto, parlarne in termini politici. E’ più facile parlare di Marghera e Castellanza. Anche lì c’è una Montedison, anche lì c’è una fabbrica che inquina e attenta alla salute dei lavoratori e della popolazione. Anche lì una direzione cerca di imporre l’alternativa salute-lavoro.  Ma a Marghera e Castellanza la soggettività operaia trova i canali per esprimersi, trova la capacità di imporre la sua egemonia. Il nuovo modo di fare scienza diventa anche nuovo modo di fare politica. Gli operai denunciano la nuova strategia aziendale del colosso chimico. Taglio drastico della manutenzione, progettazione criminale degli impianti: la strategia delle stragi programmate. Giapponesi e americani producono isocianati senza impiegare fosgene, addirittura riducendo i consumi di energia e i costi di produzione. A Marghera e Brindisi, invece, per le stesse produzioni la divisione internazionale del lavoro esige l’uso del fosgene, gas micidiale (a Massa un discorso analogo si potrebbe fare per la produzione dell’erbicida drepamon). L’irrazionalità di fondo dello sviluppo capitalistico si manifesta sempre più spesso come razionalità criminale: le stragi programmate, come dicevamo. Ma a Marghera lo schema “informazione-conoscenza-coscienza politica-lotta-trasformazione” funziona ancora. Mentre si fanno processi pubblici alla Montedison (aprile 1979), partono iniziative e programmi di lotta con proposte concrete di alternative tecnologiche e produttive, elementi di coagulazione e crescita politica per tutti, dentro e fuori la Montedison. Lo stesso non accade a Massa dove le due soggettività, quella operaia e quella popolare, si manifestano su registri diversi e conflittuali, spesso irriducibili. Eppure esperienze passate – alcune neanche troppo lontane – dovrebbero suggerire l’inevitabile esito cui sono destinate situazioni di questo tipo. Si finirà di favorire quei tentativi di risucchio politico del problema in cui da tempo (sia pure da posizioni diverse) direzione Montedison ed enti locali sono impegnati. Se ciò vuole essere evitato, non esistono alternative credibili alla costruzione immediata di un movimento di lotta unitario. Ai cittadini riuniti nell’Assemblea Permanente va ripetuto che la parola d’ordine “chiusura pura e semplice” alla lunga non gestirà niente né come informazione né come agibilità politica. Gli operai e il sindacato da parte loro devono, invece, esprimersi – una volta per tutte – per la chiusura delle produzioni di morte, ovvero per l’abolizione di tutte le produzioni nocive, tossiche e pericolose – una o cento che siano – e la loro riconversione a lavorazioni prive di rischio per operai e popolazione. Obiettivo primario, a Massa come a Castellanza, a Brindisi come a Marghera, resta un’informazione puntuale e diretta a tutta la popolazione sulle nocività e i rischi che stabilimenti di questo tipo comportano. E’ indispensabile, ad esempio, abrogare l’assurdo e, come si è visto, inefficace, “piano d’emergenza” (che incredibilmente delega la difesa della salute alla discrezionalità dell’inquinatore!) e sostituirlo con una mappa dei rischi, che informi sui pericoli e le nocività presenti nei cicli produttivi e nell’ambiente, da realizzare con la partecipazione diretta dei lavoratori e della popolazione. Informare correttamente, superare la frattura operai-popolazione: questi, dunque, i due nodi da sciogliere nell’intricata situazione di Massa. Noi crediamo che la cosa sia ancora possibile, pensiamo anzi che un importante passo in avanti in questa direzione sia già stato fatto avviando – su proposta di Medicina Democratica – la costituzione di un coordinamento di lotta per la salute promosso dai Consigli di Fabbrica della Montedison e delle altre aziende e aperto a tutti i contributi. Ogni possibile esito di questa vicenda è da oggi affidato a questo strumento, alla sue capacità di diventare centro di documentazione e di confronto, ma soprattutto alla sua capacità di gestire politicamente una realtà che vede in discussione il diritto al lavoro e il diritto alla salute di un’intera collettività”. (pubblicato sul bollettino di Medicina Democratica, 11/1980)