Da pochi giorni (marzo 2017) è morto Danilo Mainardi, il padre dell’etologia italiana. Il mio primo ricordo lo vede – nell’ottobre del 1977 – nei panni del professore di Biologia generale all’Università di Parma, in un’aula piena all’inverosimile, piena di studenti come me, ma piena anche di un uditorio non accademico che veniva a sentire questo giovane etologo già famoso per gli studi sull’imprinting sessuale di natura olfattiva nei topi e sul ruolo attivo svolto dalla femmina nella selezione sessuale. Due anni prima di conoscerlo come professore – nel 1975 – Mainardi aveva organizzato a Parma la XIV International Ethological Conference, con la presenza del fondatore dell’etologia, Konrad Lorenz. Mainardi era nato a Milano nel 1933, aveva frequentato il liceo a Cremona e si era laureato in Scienze biologiche all’Università di Parma con una tesi in zoologia. Doveva la sua grande cultura evoluzionistica a due maestri, Bruno Schreiber, per l’anatomia e la zoologia comparata, Luigi Cavalli Sforza per la genetica e l’evoluzione. A soli 34 anni era diventato docente universitario ed aveva insegnato, dal 1967 fino al 1992, prima Zoologia, quindi Biologia generale e infine Etologia nelle facoltà di Scienze e di Medicina di Parma; aveva poi insegnato a Venezia; era anche stato presidente onorario della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) e dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR).  Ha pubblicato oltre 200 libri, molti di (ottima) divulgazione scientifica; la prima opera è stata La scelta sessuale nell’evoluzione della specie (1968); la notorietà era arrivata con L’intervista sull’etologia del 1977, che faceva il punto sul grande dibattito di quegli anni a proposito degli studi sul comportamento animale. Nel 1973 a Konrad Lorenz, Nikolaas Tinbergen e Karl von Frischera stato assegnato il Premio Nobel “per le loro scoperte sull’organizzazione ed evocazione delle forme di comportamento individuale e sociale”, il primo (e ancora oggi l’unico) assegnato a studi sul comportamento animale. In questo campo della biologia, però, non tutti seguivano la strada di Lorenz e Mainardi. Con l’uscita del libro Beahaviorism (1930) dello psicologo John B. Watson negli Stati Uniti era nato e si era sviluppato il comportamentismo che negava il peso degli istinti considerando il comportamento animale come risultato soprattutto di processi di apprendimento; negli anni successivi B.F. Skinner era diventato l’esponente di punta del comportamentismo e aveva cercato di dedurre leggi generali del comportamento animale in laboratorio con vari tipi di stimoli artificiali. Si trattava di un approccio diametralmente opposto a quello della scuola etologica che studiava gli animali principalmente nel loro ambiente naturale per evidenziare il carattere adattativo dei comportamenti e compararli a specie affini. Sempre in quegli anni si affermò un terzo indirizzo di studio, quello della sociobiologia del biologo statunitense E.O. Wilson (anche lui, come Mainardi, validissimo divulgatore) che voleva spiegare le basi biologiche dei comportamenti sociali – inclusi quelli umani– mettendo a confronto specie molto distanti evolutivamente (come le formiche, di cui Wilson era un grande esperto, e Homo Sapiens). Nell’appassionato dibattito di quegli anni Mainardi, naturalmente, si schierò per l’approccio etologico, da un lato rivendicando l’importanza dello studio del comportamento sociale nel mondo animale fuori dai laboratori, dall’altro riconoscendo che molte specie animali sono in grado – come noi – di fare cultura, cioè di trasferire tra gli individui la capacità di risolvere problemi. (“Si deve considerare intelligente, in senso lato, ciò che aiuta a stare al mondo”). Nei confronti della sociobiologia, già nel 1977 aveva scritto “Ogni specie è diversa, ed è estremamente pericoloso estrapolare da una specie all’altra”. Per lo stesso motivo in più occasioni aveva ribadito l’importanza di non antropomorfizzare gli animali, come nei cartoni animati della Disney. Forse per questo ha intitolato il suo penultimo libro “L’uomo e altri animali. Così uguali, così diversi”.

P.S. in un articolo sull’etologia in Italia, va sicuramente ricordato il professor Leo Pardi, iniziatore di questa disciplina nel nostro Paese; premio Balzan per l’etologia nel 1989, Pardi ha studiato soprattutto la biologia sociale degli Imenotteri i problemi di orientamento negli Artropodi.  (4-2017)