Nel mondo ci sono oltre 400 milioni di persone con epatite cronica legata al virus dell’epatite B, il virus HBV (in termini medici, epatopatia HBV correlata); la maggior parte sono in Asia e in Africa e sono infettati alla nascita (trasmissione verticale dalla madre) o entro i 2 anni di età (sempre dalla madre o da fratelli o parenti stretti conviventi). Ogni anno un milione di persone muoiono per le conseguenze dell’epatite B. Nei Paesi occidentali, invece, l’infezione è generalmente acquisita durante l’adolescenza o nell’età adulta, attraverso rapporti sessuali a rischio o con la condivisione di siringhe infette, nel caso delle tossicodipendenze. L’epatite B è, dopo il tabacco, la prima causa di tumore, essendo responsabile dell’80% del carcinoma epatocellulare, il cancro che colpisce il fegato. La prima notizia dell’identificazione di una forma di epatite trasmissibile attraverso il sangue e i suoi derivati avvenne alla fine dell’800; il virus HBV è stato scoperto nel 1966 dal biochimico Usa  Baruch Blumberg, vincitore del Premio Nobel per la medicina nel1976; Blumberg aveva identificato nel sangue di aborigeni australiani una porzione del virus HBV, chiamata prima antigene Australia poi antigene di superficie dell’epatite B, o HBsAg. Dopo aver identificato il virus, Blumberg è riuscito a sviluppare anche il test fare la diagnosi dell’infezione e – nel 1982 – un vaccino per la malattia. L’ HBV, come altri virus, entra nel DNA delle cellule del fegato (epatociti) alterandole. Si tratta di un virus della famiglia degli Hepadnaviridae, molto resistente (mantiene la sua carica infettiva per quasi un mese, a temperatura ambiente) che infetta, oltre l’uomo, anche anatre, scoiattoli e marmotte. Il virus è costituito da proteine e DNA. Il periodo di incubazione è il periodo che va dal contatto del virus alla comparsa dei primi sintomi e varia dai 60 ai 180 giorni. L’epatite B può essere priva di disturbi (forma asintomatica), in particolare nelle infezioni acquisite alla nascita; le forme con sintomi, invece, presentano febbre, stanchezza, malessere generale, nausea, vomito, dolori articolari e muscolari, ittero (colorazione gialla della pelle e delle mucose per l’aumento di bilirubina nel sangue). Dal punto di vista degli esami di laboratorio, HBsAg, HBeAg e HBV-DNA diventano positivi circa 6 settimane dopo il contagio, prima dell’inizio dei sintomi clinici o dell’alterazione degli esami del sangue. L’infezione cronica è in genere definita dalla presenza di HBsAg (Antigene Australia) per un periodo di oltre 6 mesi. Il rischio di cronicizzazione è correlato a due fattori: l’età di acquisizione dell’infezione e le condizioni immunitarie del soggetto che viene a contato col virus. Il rischio di cronicizzazione dopo infezione è basso nei soggetti con un sistema immunitario in buone condizioni. Nei neonati la cronicizzazione di malattia arriva fino al 90%, probabilmente perché il loro sistema immunitario è ancora immaturo. Maggiore è l’età del soggetto al momento del contagio, minore è la probabilità che la malattia diventi cronica; nei pazienti adulti infatti sono molto più frequenti le forme acute.

L’HBV ha le stesse vie di trasmissione dell’HIV. Ci si può infettare con l’HBV per contatto diretto con sangue e derivati del sangue infetto, attraverso l’uso di aghi, siringhe e strumenti chirurgici o estetici contaminati o nei trapianti di organi infetti. Un’altra via di trasmissione passa per l’uso di strumenti come rasoi e forbici, spazzolini da denti. La trasmissione sessuale rappresenta la maggior via di trasmissione nei Paesi a bassa diffusione, come Europa e Stati Uniti. Negli anni ’80 gli omosessuali avevano un rischio particolarmente alto (circa il 20% dei casi), oggi sono a rischio soprattutto i rapporti eterosessuali senza profilattico.  L’uso del preservativo, come per HIV, impedisce il trasmettersi dell’infezione. I figli di madri infette con elevati livelli di replicazione virale hanno un rischio altissimo (70-90%) di infezione alla nascita, in assenza di prevenzione. Il lavoro in strutture sanitarie, le trasfusioni, la dialisi, l’agopuntura, i tatuaggi, i viaggi all’estero con comportamenti a rischio, interventi odontoiatrici in condizioni di scarso controllo e igiene sono tutti fattori di rischio. Esistono 3 strategie principali per prevenire l’infezione da HBV. Innanzitutto, evitare comportamenti rischiosi; chi ha rapporti sessuali a rischio, deve usare sempre il profilattico; i tossicodipendenti devono usare siringhe monouso; la somministrazione di immunoglobuline, cioè di anticorpi specifici contro il virus dell’epatite, è la seconda arma contro il virus, da utilizzare in situazioni specifiche, come dopo la puntura di aghi; infine, il vaccino con gli anticorpi di protezione che si sviluppano nel 95% dei soggetti. Oggi in Italia la vaccinazione è obbligatoria dal 1991 per tutti i neonati dal primo anno di vita e per tutti gli adolescenti di 12 anni. (2007)