L’epatite C è da molti decenni un’emergenza mondiale di sanità pubblica. L’OMS stima che nel mondo vi siano circa 150 milioni di persone affette da HCV, 3,5 milioni delle quali negli Stati Uniti e circa 8 milioni in Cina. Le morti per tumori del fegato associati all’HCV sono quasi triplicate tra il 1990 e il 2013. In Italia dovrebbero esserci tra un milione e un milione e mezzo di portatori cronici dell’HCV: è il numero più alto in Europa.

Dalla fine del 2014 sono disponibili una serie di farmaci capaci di eradicare anche le forme più resistenti di epatite C; tra essi il primo e il più noto è il Sovaldi, nome commerciale del sofosbuvir. Negli USA, e in molti altri Paesi, però, il costo del trattamento è elevatissimo, per cui le assicurazioni forniscono i farmaci solo ai pazienti più gravi. Per l’OMS l’accesso ai nuovi farmaci antivirali anti epatite C è un’urgenza di salute pubblica globale, allo stesso modo in cui lo era l’accesso ai farmaci antiretrovirali contro HIV e AIDS negli anni ‘90. Resta il problema di come garantire la vita a milioni di persone, senza entrare in rotta di collisione con gli interessi delle potenti aziende farmaceutiche che intravedono nei nuovi farmaci anti epatite – le prime molecole veramente utili dopo decenni di ricerche infruttuose – la classica gallina dalle uova d’oro.
I malati si trovano nella situazione paradossale di avere finalmente la cura per debellare una delle più terribili malattie infettive e non poterla utilizzare per i costi di mercato imposti dalla logica di mercato, che pone la salute e la vita di milioni di persone alla stregua di una merce qualsiasi.
Le Regioni italiane – in questi due anni – hanno dato la terapia ai pazienti più a rischio, oltre 60.000 persone; per altri 250.000 pazienti con la diagnosi conclamata rimane solo l’attesa. Oltre 1.000 di loro – il dato è dell’associazione EpaC – hanno scelto un’altra strada: un viaggio in India o in Egitto per comprarsi con circa 1.500 dollari – invece dei 40.000 euro richiesti in Italia –  il generico del Sovaldi, prodotto localmente. Mettere in vendita il Sovaldi e gli altri farmaci salvavita ad un prezzo 25 volte inferiore a quello corrente – come fanno India, Egitto e Sudafrica – è possibile. E’ possibile se il Paese ha una legislazione nel riconoscimento dei brevetti come quella indiana, non a caso presa a modello da molti stati per garantire l’accesso alle cure per le classi meno agiate.
Un’altra strada percorribile per dare il farmaco a tutte le persone malate è quella della “licenza obbligatoria”. Se il governo italiano dichiarasse l’epatite C un’emergenza nazionale, potrebbe forzare la Gilead e le altre aziende che possiedono i brevetti dei farmaci antiepatite C a concederne l’uso per il sistema sanitario nazionale. In Francia l’associazione Médecins du Monde ha lanciato nel giugno scorso una campagna per denunciare il prezzo dei farmaci anti epatite e i rischi per il sistema sanitario francese. Con una sanità già in grave crisi e il record europeo di persone positive al virus HCV, perché non lanciare una campagna simile anche in Italia? Un forte movimento dal basso potrebbe spingere le multinazionali ad abbassare i prezzi della terapia, salvando milioni di persone.

p.s. sono nato alla fine degli anni ’50; in quegli anni, grazie al vaccino anti-polio del professor Sabin, la poliomielite fu debellata; il medico polacco- statunitense rifiutò di brevettare il vaccino, per contenerne il prezzo e aumentarne il più possibile la diffusione. (nella foto la locandina della campagna della Regione Lazio, Una regione senza l’epatite C) ( 2-2017)