Neanderthal a tavola
Se incontrassimo un Neanderhal vestito nella metropolitana, forse faremmo fatica a capire che si tratta di una specie diversa dalla nostra (o una nostra sottospecie estinta), con cui abbiamo convissuto per migliaia di anni e della quale conserviamo nei geni una quota di DNA variabile dall’1 al 4%. Dopo la scoperta dei primi resti nella cava tedesca della Valle di Neander, i Neanderthal furono scambiati per scimmie o umani deformi. Oggi, però sappiamo che a loro sono attribuibili le prime forme di arte simbolica, rinvenute in grotte spagnole e risalenti a oltre 64.000 anni fa, almeno 10-15.000 anni prima dell’arte dei Sapiens. I Neanderthal, inoltre, avevano tutto tutte le caratteristiche anatomiche e fisiologiche necessarie per parlare (compreso il gene FoxP2 che nella nostra specie regola il linguaggio). La grande diversità tra i Neanderthal europei e i Sapiens provenienti dall’Africa era principalmente nei caratteri di adattamento al freddo, per il rigido clima dell’Europa di allora: corporatura robusta – da rugbista di mischia – con spalle, torace e fianchi larghi, arti inferiori corti, pelle molto chiara e capelli castani o biondi. Homo Sapiens, invece, aveva tutti i caratteri di adattamento al caldo, corporatura longilinea – da saltatore o da fondista – con gambe e braccia lunghe, pelle scura per proteggersi dalle radiazioni UV. Le recenti scoperte paleontologiche stanno facendo luce sui rapporti tra noi i e i Neanderthal. La storia comune dovrebbe essere iniziata con Homo heidelbergensis, specie evoluta in Africa da Homo erectus un milione di anni e poi diffusasi in Europa e in Asia 600.000 anni fa; da questo antenato comune avrebbero preso origine gli Homo sapiens africani, da cui deriva tutta l’umanità attuale, i Neanderthal europei e i Denisoviani asiatici.
Cosa sappiamo oggi dell’alimentazione dei Neanderthal? Diverse cose, alcune sorprendenti. Innanzitutto, avevano un dispendio energetico inimmaginabile al giorno d’oggi, persino per i grandi sportivi: 4.400 kcal per chi restava negli accampamenti, oltre 6.600 Kcal per chi andava a caccia. Come spiegare questi valori, due-tre volte maggiori di quelli attuali? I Neanderthal avevano grandi masse muscolari, adatte alla caccia contro animali a volte 100 volte più grandi di loro (le 7-8 tonnellate degli elefanti o dei mammut, vedi foto); svolgevano, inoltre, un’enorme attività fisica e, infine, avevano un notevole dispendio di energia per mantenere la temperatura corporea nel clima rigidissimo di allora. Il secondo aspetto che colpisce è la quota altissima di proteine della loro alimentazione; in assenza di piante coltivate, la carne – per lo più cacciata, ma anche lasciata da altri predatori – forniva circa la metà dell’energia, con quote proteiche paragonabili a quelle dei lupi o delle iene. La terza caratteristica è la presenza di una quota rilevante di piante selvatiche, tra cui precursori dei cereali (grano e orzo) e dei legumi (piselli). Sul cannibalismo dei Neanderthal le prove sono ormai tantissime, in un arco temporale cha va da 120.000 a 45.0000 anni fa. Da notare che i Neanderthal, mentre praticavano forma di cannibalismo, seppellivano i loro defunti. Un libro molto interessante di Silvana Condemi e François Savatier (Mio caro Neandertal. Trecentomila anni di storia dei nostri fratelli, 2018 Bollati Boringhieri) fa il punto di tutto ciò che sappiamo oggi sui nostri “cugini”. L’ultimo capitolo si occupa della scomparsa di questa popolazione e del loro testamento. Le ipotesi sulla fine dei Neanderthal sono molte. La loro scomparsa definitiva, circa 40.000 anni fa, potrebbe essere avvenuta a causa di malattie portate dai Sapiens dall’Africa: i nuovi agenti patogeni sarebbero stati catastrofici per la popolazione Neanderthal adattata alle malattie infettive tipiche del vecchio continente. Secondo le autrici del libro, però, più che di scomparsa si dovrebbe parlare di fusione: i circa 70.000 Neanderthal sparsi sul continente euroasiatico sarebbero stati lentamente assorbiti da una popolazione molto più ampia di Sapiens. Aggiungiamo, infine, che questo assorbimento in una popolazione numericamente preponderante potrebbe essere stato favorito dal vantaggio dei Sapiens legato alla domesticazione del lupo; andare a caccia con l’aiuto dei cani comporta – anche nelle popolazioni attuali di cacciatori-raccoglitori – una quota fino a tre volte maggiore di prede, aspetto non trascurabile in termini evolutivi, soprattutto nei periodo di scarsità di selvaggina.
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