Epatite C, il prezzo della cura
Salute e società
L’epatite C è uno dei maggiori problemi di salute pubblica a livello mondiale; secondo stime prudenti, circa 130-170 milioni di persone hanno oggi un’infezione cronica provocata dall’HCV, il virus dell’epatite C. Ogni anno il 28 luglio è la Giornata Mondiale dell’Epatite. Si tratta di una delle poche giornate globali, relative ad una malattia specifica, ufficialmente riconosciute dall’OMS. Quest’anno la rivista inglese The Lancet ha pubblicato un confronto tra epatite C e AIDS; il virus HIV provocava nel 2005 1,7 milioni di vittime, scese 8 anni dopo a circa 1,3 milioni; i decessi causati dall’epatite virale sono, invece, aumentati del 50% tra il 1990 e il 2010: attualmente l’epatite uccide 1,4-1,5 milioni di persone ogni anno ed è l’ottava causa di morte a livello globale. Il problema epatite C è molto sentito nel nostro Paese: l’Italia ha oltre la metà dei portatori di infezione da HCV dell’intera Unione europea (oltre un milione e mezzo); il 70% di pazienti con epatite C cronica in Europa è italiano; anche se le nuove diagnosi sono in calo (circa 1.000 nuovi casi l’anno), ogni anno 20.000 italiani muoiono per malattie collegate all’infezione da HCV. L’epatite C non trattata può dare gravi danni al fegato, fra cui cirrosi e tumori; l’infezione da HCV è, pertanto, la principale causa di trapianto di fegato. La grande novità di questi ultimi anni è che, dopo quasi 30 anni di stallo, i nuovi farmaci disponibili possono rappresentare il primo passo verso l’eradicazione di una malattia infettiva per la quale ancora non si dispone di vaccini. Dalla scoperta del virus in Giappone nel 1989 alla fine degli anni ’90 è stato disponibile solo l‘interferone, con percentuali di guarigione piuttosto basse; alla fine degli anni ’90 è arrivata la ribavirina: è aumentata la percentuale delle risposte positive, ma a scapito di trattamenti lunghi e con effetti collaterali tossici, a volte molto gravi. Oggi sono disponibili almeno tre combinazioni di farmaci contro il virus dell’epatite C, capaci di guarire – con cicli di cura di sole 8-12 settimane – dal 93% al 99% dei pazienti trattati, senza distinzione di età, sesso, profilo patologico del fegato, genotipo del virus HCV, fattori genetici dell’ospite. Altri farmaci sono in avanzata fase di sperimentazione clinica e potrebbero essere disponibili nei prossimi anni; tutti i nuovi farmaci hanno scarsi effetti collaterali. Tutto bene, allora? No, c’è un problema enorme: il prezzo della cura: negli Usa e in Europa il costo attuale di un ciclo di cura di tre mesi con Sovaldi (sofosbuvir) è di circa 60.000 euro per ciclo terapeutico: di fatto è accessibile per “uso compassionevole” solo a chi lotta tra la vita e la morte; le associazioni dei pazienti – l’EpaC, in prima linea – chiedono che si trovi rapidamente un accordo per un prezzo equo del farmaco salvavita, ma la multinazionale americana che lo produce – la Gilead – ha rinviato a settembre la trattativa che l’Agenzia ministeriale del farmaco sta conducendo per evitare il tracollo della nostra sanità pubblica. Il Senato americano ha svolto un’inchiesta sulla Gilead (nella foto le proteste contro l’azienda); la ricerca e lo sviluppo di Sovaldi sarebbero costati 62 milioni di dollari, una cifra insignificante rispetto ai ricavi di oltre 15 miliardi l’anno; in compenso, le spese di marketing e pubblicità della Gilead sono, negli ultimi due anni, quasi raddoppiate: da 116 milioni a 216 milioni di dollari. I nuovi farmaci per l’epatite C sembrano l’ennesimo paradosso di un sistema economico che tratta la salute come una merce qualsiasi: abbiamo finalmente gli strumenti per la prima cura globale di un’infezione virale cronica nell’uomo, ma rischiamo di non poterla utilizzare. |
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