Epatite C, una malattia sistemica
L’epatite C è una malattia sistemica da eradicare e un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo. Le malattie legate ai virus dell’epatite virale (A, B, C, D, E) provocano milioni di morti ogni anno insieme ad altre importanti malattie infettive. Mentre, però, la mortalità legata a HIV, tubercolosi e malaria è in calo, quella dovuta alle epatiti virali continua ad aumentare. Un motivo non trascurabile di questa letalità risiede nel fatto che tutti i virus epatici possono causare malattie anche in organi diversi dal fegato, in modo diretto o indiretto; sono note, infatti, patologie renali per il virus dell’epatite B e neurologiche per quello dell’epatite E. Per il virus dell’epatite C (HCV) la nostra conoscenza delle manifestazioni patologiche extraepatiche è tale da giustificare il termine di “malattia sistemica da HCV”. Un primo importante effetto dell’infezione da HCV riguarda il metabolismo degli zuccheri, con la comparsa di insulino-resistenza nel fegato e nelle cellule muscolari; non stupisce, pertanto, la maggior prevalenza di diabete tra le persone HCV positive; l’iperglicemia, inoltre, nel tempo peggiora il decorso dell’epatite cronica e favorisce eventi cardiovascolari. Un secondo macroeffetto del virus HCV è sul metabolismo dei grassi, con conseguenti ipercolesterolemia e steatosi epatica (prevalenza del 50% nel caso del genotipo 1); diabete e steatosi epatica a loro volta possono accelerare la progressione dell’epatite verso i tumori del fegato (epatocarcinomi). La terza grande manifestazione extraepatica è la crioglobulinemia mista, presente nel 40-60% dei pazienti con HCV; si tratta di una condizione benigna che, però, in circa il 10% dei casi predispone ai linfomi non Hodgkin. Lo stato di infiammazione cronica legato al virus HCV può interessare anche i vasi sanguigni portando ad aterosclerosi e malattie cardiovascolari (aumentate anche dall’eventuale concomitanza di diabete e insulino-resistenza). L’infezione da HCV è, infine, associata a insufficienza renale e – con meccanismi non ancora ben identificati – a patologie psichiatriche di vario genere. Tutte queste comorbilità vengono drasticamente ridotte nel momento in cui – con le nuove terapie disponibili – si riesce a rendere inoffensivo il virus azzerando nel sangue la sua presenza (viremia).
Tutto bene allora? Assolutamente, no. Prendendo come riferimento il rapporto dell’OMS riferito al 2015, scopriamo che solo il 20% di tutte le infezioni da epatite C (una su cinque) sono state diagnosticate: in 4 casi su 5 la malattia è senza diagnosi e il virus viaggia indisturbato. La prevalenza delle infezioni da epatite C nel nostro Paese è intorno al 2%, la metà di Ucraina e Romania, ma 10 volte i valori scandinavi. Al dicembre 2019 erano stati trattati con i nuovi farmaci quasi 200.000 pazienti. Un buon risultato senza dubbio, ma restano ancora moltissimi casi da trattare, per una malattia che rappresenta da decenni un importante problema di salute pubblica. La disponibilità di terapie estremamente efficaci – nel 96% dei casi si arriva all’eradicazione del virus – ha fatto diventare l’eliminazione mondiale del virus HCV un obiettivo realistico, purché si riesca a interrompere la trasmissione dell’infezione. La soluzione è molto semplice, ma al momento inattuabile per le logiche esclusivamente economiche delle grandi aziende farmaceutiche (big Pharma). A questo si aggiunge il fatto che dall’inizio dell’anno le costosissime terapie anti HCV sono uscite dalla lista dei farmaci innovativi e sono di nuovo all’interno della spesa farmaceutica ordinaria. Difficile a questo punto raggiungere – antro il 2030 – i due ambiziosi obiettivi dell’OMS: una riduzione globale della mortalità correlata alle epatiti del 65% e una riduzione del 90% di nuove infezioni. La Società Italiana di Gastro Enterologia (SIGE) ha giustamente detto che “il progetto di eliminazione richiede un salto concettuale, spostando l’attenzione dalla cura del singolo paziente ad un approccio di sanità pubblica”. Parole sacrosante, da sottoscrivere e da girare al Ministro della Salute Roberto Speranza, perché i governi europei trovino un modo di limitare i profitti miliardari delle aziende farmaceutiche, garantendo a milioni di esseri umani il diritto alla cura. (febbraio 2020)
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