Come membri della specie Homo Sapiens-sapiens tutti noi umani soddisfiamo il bisogno biologico – qualcuno direbbe l’istinto – della nutrizione, come gli altri mammiferi.  A differenza degli altri animali, noi umani siamo in grado di dare alle cose che mangiamo una forma e un valore.  Il grande filosofo tedesco Ludvig Feuerbach aveva detto che l’uomo è ciò che mangia, ma dal momento che ogni cultura ha dato in ogni tempo ai cibi un valore simbolico, siamo quello che mangiamo e anche qualcosa di più.

Il cibo, l’alimento, il piatto tipico si presenta sempre in una doppia dimensione: come elemento biologico-nutrizionale e come elemento simbolico-culturale dei gruppi umani. “Il cibo è uno strumento di comunicazione estremamente efficace. Parlare di cibo significa parlare di ambiente, economia, società, politica, arte, letteratura. Nella comunicazione fra culture diverse i sistemi di cucina sono l’elemento più semplice da cui partire “(Massimo Montanari)

Ciò che mangiamo, pertanto, definisce la nostra identità di specie, ma anche la nostra identità di gruppo etnico (nelle nostre culture, soprattutto i prodotti del grano). Conoscere la cucina dei Paesi africani e mediterranei, ad esempio, può essere un modo per avvicinarci alla loro cultura, per confrontarci con loro.

Attraverso lo scambio gastronomico potremmo spezzare le barriere che spesso bloccano ogni tentativo di integrazione, di conoscenza reciproca. Il cuscus, il kebal, i felafel potrebbero diventare efficaci mezzi di interazione con l’altro, con chi è “diverso” da noi, con chi ha diverse tradizioni. Infatti, da quando esiste il mondo, il cibo è sempre stato “uno scambio di terre, di genti, di culture…con alimenti poveri… ma ricchi di umanità” (Enzo Bianchi, Il pane di ieri ) perché avere cura del mangiare è volersi bene e mangiare insieme è, sempre e comunque, incontrarsi. (2007; nella foto Il Banchetto nuziale di Pieter Bruegel il Vecchio, 1568)