Progressi della medicina
Progressi della medicina. “Nel corso delle ultime tre generazioni il quadro delle malattie che affliggono le società occidentali ha subito spettacolari mutamenti. La poliomielite, la difterite e la tubercolosi stanno scomparendo; una sola dose di antibiotico è spesso sufficiente a guarire la polmonite e la sifilide; e si sono domate tante malattie un tempo sterminatrici che i 2/3 di tutti i decessi sono ormai collegati ai malanni della vecchiaia. In realtà non esiste alcuna prova di un rapporto diretto tra questa mutazione della patologia e il cosiddetto progresso della medicina”. Con queste parole Ivan Illich iniziava il suo “Nemesi medica” del 1976, portando una documentazione enorme a dimostrazione del ruolo decisivo di cibo, acqua, aria e altri fattori ambientali nel determinare morbosità e mortalità delle popolazioni. Concetti analoghi sono stati ripresi recentemente dal medico inglese Ben Goldacre (La cattiva scienza, 2009). Decisivi o meno, oggi i farmaci e gli altri strumenti di diagnosi e cura fanno parte della nostra vita. Vediamo, allora, in una sintetica progressione temporale quali potrebbero essere stati i pilastri della moderna medicina.
Per il primo pilastro dobbiamo andare nel ‘600, quando colera, peste, vaiolo, sifilide e altre terribili malattie contagiose decimavano gli europei. Le malattie infettive hanno determinato per migliaia di anni la mortalità umana senza la possibilità di prendere contromisure efficaci, in assenza di strumenti capaci di rilevare gli agenti dell’infezione. La realizzazione nel ‘600 del primo microscopio ottico da parte di Antoni Van Leeuwenhoek (1674) rivoluzionò la visione biomedica delle infezioni: con lenti sferiche capaci di ingrandire fino a 275 volte fu possibile osservare i primi microrganismi ciliati, gli spermatozoi, la struttura delle fibre muscolari e i primi batteri. Il secondo pilastro fu posto nel ‘700 con la scoperta dei vaccini. In quegli anni il vaiolo uccideva circa 400.00 persone l’anno in Europa; il medico inglese Edward Jenner nel 1796 utilizzò il virus del vaiolo vaccino per immunizzare un bambino di 8 anni dal virus del vaiolo umano e pubblicò un documento sui primi 23 casi di vaccinazione (utilizzando per la prima volta la parola virus); nei 10 anni successivi i casi vaiolo si ridussero da 18.000 a 180, Napoleone fece vaccinare le sue truppe e le vaccinazioni si estesero al resto del mondo. Nonostante ciò, nel 1967 circa 2 milioni di persone nel mondo ancora morivano di vaiolo; le campagne vaccinali, però, hanno avuto la meglio e nel 1979 l’OMS ha dichiarato il vaiolo prima malattia eradicata nella storia dell’umanità. Il terzo e il quarto pilastro della medicina risalgono all’800 e sono stati posti praticamente negli stessi anni, ma in continenti diversi. Il dentista statunitense William Morton utilizzò nel 1846 l’etere come anestetico per un’estrazione dentistica e nello stesso anno fu possibile effettuare il primo intervento chirurgico con un paziente sedato. L’introduzione dell’anestesia nella pratica chirurgica rappresentò una svolta fondamentale per chi doveva sottoporsi a interventi chirurgici o a pratiche mediche allora molto dolorose, come quelle odontoiatriche. Dopo l’etere di Morton la terapia del dolore ha fatto molti passi avanti ed è entrata stabilmente nella pratica medica per ridurre la sofferenza dei pazienti. Il 1846 fu stato anche l’anno in cui Ignac Sommelweiss prese servizio nella Clinica Ostetrica dell’Ospedale Generale di Vienna; il medico ungherese fece due cose oggi banali, ma allora rivoluzionarie: da un alto introdusse l’obbligo per i medici del reparto di lavarsi le mani con ipoclorito di calcio, dall’altro impose il cambio delle lenzuola per le partorienti; con questi due cambiamenti ridusse la mortalità delle puerpere dall’11% all’1% e diede inizio all’igiene medica moderna; Sommelweiss, però, fu osteggiato e deriso dalla comunità medica viennese e finì in manicomio; nel 1864, però, Louis Pasteur fece le prime dimostrazioni della contaminazione batterica che confermarono le intuizioni di Sommelweiss al quale oggi è stata intitolata l’Università di Budapest. Il quinto pilastro della medicina sono stati sicuramente i farmaci, che hanno rivoluzionato nel ‘900 il nostro rapporto con molte malattie. Difficile scegliere un principio attivo tra i tanti scoperti nel secolo scorso. Proviamo ad elencare le molecole di sintesi più significative, a partire dall’acido acetilsalicilico, brevettato dalla Bayer nel 1899 con il nome di aspirina, capostipite dei farmaci antinfiammatori successivi. Nel 1922 un ragazzo di 14 anni fu il primo paziente trattato con insulina sintetica, una svolta epocale nella storia del diabete. Nel 1928, con la scoperta casuale della penicillina, l’inglese Alexander Fleming diede inizio all’era degli antibiotici, farmaci salvavita per moltissime malattie infettive. La molecola simbolo degli anni ’40 è stato sicuramente il cortisone, potente antinfiammatorio e antidolorifico, scoperto da E. Calvin Kendall nel 1944. Per gli anni ’50 un farmaco storico è stata la clorpromazina; sintetizzata in laboratorio nel 1951, è stato il primo farmaco in grado di attenuare i sintomi delle malattie mentali e ha aperto la strada alla produzione di molti altri farmaci antipsicotici. Agli inizi degli anni ’60 sono entrati in commercio in Europa – nel 1961 – due farmaci rivoluzionari: la metformina – ancora oggi indicato come prima scelta per la terapia del diabete – e la pillola anticoncezionale, un farmaco dall’immenso impatto sociale che ha cambiato il rapporto delle donne con la maternità (in Italia, però, la pillola arriverà in farmacia solo nel 1976). Dagli anni 80 in poi le nuove molecole prodotte dall’industria farmaceutica sono state sempre di meno. La stragrande maggioranza dei farmaci, degli strumenti diagnostici e delle tecniche di cura della medicina moderna, basata sulle prove di efficacia, sono state fatte nel quarantennio d’oro che va dal 1935 al 1975. Di questi ultimi 30 anni segnaliamo le nuove terapie per l’HIV – dopo l’AZT estremamente tossico – e quelle per l’epatite C, molto più efficaci del vecchio binomio interferone-ribavirina. Nella medicina degli anni ‘20 del 2000 rimane un grande buco nero: l’assenza di nuovi farmaci efficaci e di un vaccino per la malaria. Per questa importante malattia infettiva, con i suoi circa 200 milioni di casi (e 584.000 vittime nel 2013, dati OMS), infatti, non è disponibile la vaccinazione e si è costretti ad assumere vecchi farmaci che riducono di circa il 90% il rischio di infezione, ma non lo annullano. Forse ha anche un valore riparatorio la scelta del Nobel per la Medicina 2015. L’irlandese William C. Campbell e il giapponese Satoshi Omura sono stati premiati per le loro ricerche contro i nematodi, parassiti responsabili di diverse infezioni, mentre la cinese Youyou Tu ha avuto il riconoscimento per aver scoperto nel 1972 una nuova terapia contro la malaria, l’artemisina, oggi il farmaco più usato al mondo per quella che riamane la “malattia dei poveri”. (2-2016)
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