Da che cosa dipende la salute di una popolazione? Sicuramente dall’opera di bravi professionisti – medici, infermieri e altro personale sanitario – capaci di fare bene una diagnosi nel singolo paziente e di applicare i trattamenti più efficaci. Sono, inoltre, molto importanti le scelte che vengono fatte a livello individuale sul cibo, l’attività fisica, l’alcol e il fumo. Ma quasi sempre a determinare il livello di salute di una popolazione sono i determinanti sociali di salute, ossia le condizioni di vita e di lavoro e, soprattutto, le disuguaglianze interne alla società. Questo è il motivo per cui le società più giuste hanno anche migliori livelli di salute. Michael Marmot, docente di Epidemiologia e Sanità Pubblica all’University College di Londra, spiega da anni che la salute e l’uguaglianza nei livelli di salute, non sono solo valori in sé, ma raccontano meglio di qualsiasi altro indicatore la qualità complessiva della società in cui viviamo. La sua ultima opera The Health Gap – tradotto in italiano La salute disuguale. La sfida di un mondo ingiusto (Il Pensiero Scientifico, 2016) – si rivolge, pertanto, soprattutto alla politica perché da essa vengano scelte efficaci a contrastare le iniquità economiche che determinano le disuguaglianze di salute.

Perdere di vista questa dimensione sociale della salute è pericoloso. Invitare le persone a non fumare, a seguire diete bilanciate e a svolgere attività fisica è importante, ma spesso si riduce a fornire suggerimenti che difficilmente spingeranno a un cambiamento le fasce di popolazione che più ne avrebbero bisogno. Pensando a una serie di raccomandazioni efficaci per promuovere la salute della popolazione, David Gordon e i colleghi dell’Università di Bristol hanno compilato un decalogo per la salute, che tenga conto della prevalenza dell’aspetto socio-economico su quello strettamente sanitario. Ecco i loro consigli. 1. Non essere povero.  2. Non vivere in aree depresse.  3. Non essere disabile e non avere bambini disabili. 4. Non avere un’occupazione lavorativa stressante e malpagata. 5. Non abitare in ambienti insalubri e non restare senza casa. 6. Fai in modo di permetterti attività sociali e le vacanze ogni anno. 7. Non essere un genitore unico. 8. Reclama tutti i diritti che ti spettano. 9. Fai in modo di possedere un’automobile. 10. Usa l’educazione per migliorare la tua posizione sociale ed economica. Questo elenco sembra provocatorio, ma è basato su solide basi scientifiche. Ognuno dei dieci punti è, infatti, correlato con la salute, come confermano studi e indagini di diversi decenni. Il problema è che povertà e disoccupazione non sono condizioni scelte dagli individui: una volta diventati poveri e disoccupati, c’è ben poco che si possa fare per modificarlo. Ai 10 punti di Gordon, potremmo aggiungerne un undicesimo. Non ammalarti di malattie i cui farmaci devono arricchire le grandi aziende farmaceutiche. Avere l’epatite C o essere sieropositivo è un problema drammatico in Paesi come gli Stati Uniti, se non si dispone di abbastanza reddito da permettersi la terapia. “Solo il 40% delle persone sieropositive al virus dell’HIV negli Stati Uniti sono in grado di accedere alle cure che potrebbero salvar loro la vita” (Scott Schoettes, del Presidential Advisory Council on Hiv/Aids). Il nostro Paese – con uno degli ultimi sistemi sanitari pubblici universalistici – sembrava assolutamente estraneo a queste spietate logiche che vedono nella salute una merce come le altre da cui ricavare il massimo profitto. L’esorbitante costo di mercato del farmaco che annulla la presenza nel sangue del virus dell’epatite C ha, però, creato per la prima volta una grave discriminazione tra pazienti gravi, che hanno avuto accesso alle cure a carico del SSN, e pazienti in fase iniziale di malattia, che si sono visti negare queste possibilità. “Questa condizione di profonda ingiustizia sociale e disequità nell’accesso alle cure è eticamente non tollerabile soprattutto quando è in gioco il diritto alla tutela della salute come previsto dalla nostra Costituzione. Non è tollerabile che la determinazione del costo delle innovazioni sia lasciato esclusivamente all’economia di mercato.” (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici del 16-9-2016).

Allora, se ci ammaliamo di Aids e di epatite C e non possiamo permetterci i farmaci di chi è la responsabilità? In generale, di chi è la responsabilità nella salute? E’ tutta nelle scelte individuali o è in larga parte legata alla giustizia sociale di una società? La maggior parte delle persone sa perfettamente che il fumo e l’alcol danneggiano la salute, che i fast-food e il cibo-spazzatura portano all’obesità, al diabete e alle malattie cardiovascolari, ma si continua a fumare e a mangiare male perché non sono solo le informazioni che determinano i comportamenti, soprattutto nelle fasce di popolazione più vulnerabili. Se vogliamo migliorare lo stato di salute di una popolazione, dobbiamo cercare di rendere più giusta la società, non dare più informazioni.