• Secondo Jeremy Rifkin, noto economista statunitense, le nostre scelte alimentari determineranno il futuro del nostro pianeta. In parte è vero, ma coglie più nel segno Andrea Segrè, docente di economia circolare a Bologna, quando afferma che  “Il mercato e le sue merci si fondano sullo spreco“. ONU e FAO avevano calcolato nel 2011 che lo spreco rappresentava circa un terzo del totale degli alimenti prodotti a livello mondiale. In assenza di interventi strutturali avremo nei prossimi anni un aumento dello spreco alimentare del 40%, ossia butteremo oltre 2 miliardi di tonnellate all’anno. Perché tutto questo? Perché lo spreco è l’anima del capitalismo. Come sottolinea il professor Segré: “Produrre, acquistare, non consumare e sostituire. Questa è la formula (del mercato capitalista)”.  Se siamo costretti a comprare  cibo cattivo, non a caso chiamato cibo-spazzatura (junk-food) è molto probabile che poi finirà nella spazzatura (in inglese junk). Segrè fa notare che si tratta di una banale  legge dell’economia: più l’economia cresce, meno – in proporzione – spendiamo per mangiare. In media, nel nostro Paese, utilizziamo tra il 14 e il 18% del nostro reddito per la spesa, in Camerun e in Pakistan si arriva quasi al 50%, ma nelle culle del liberismo  – e del cibo spazzatura – si oscilla tra il 6% (USA) e il 9% (Gran Bretagna e Canada). Se classificato come Paese, lo spreco alimentare sarebbe il terzo maggior emettitore al mondo di gas serra. Nella sola Unione europea lo spreco alimentare costituisce circa il 16% delle emissioni di gas serra. Da stime del WWF il cibo non consumato che finisce in discarica, decomponendosi produce  l’8-10% delle emissioni globali di gas serra. Chi spreca di più al mondo? La massima potenza economica mondiale dà un pessimo esempio: 80 chili di cibo ogni anno – 1,5 kg a settimana – finisce nella pattumiera nelle case degli statunitensi. Poco meglio fanno tedeschi,  giapponesi e canadesi che buttano ogni settimana tra 1 kg e 1,4 kg di cibo. Più virtuosi noi italiani che sprechiamo solo 500 grammi di cibo a settimana, circa 25 kg all’anno. Molto meno sprecano per fortuna indiani e cinesi – circa 2,8 miliardi di persone – con valori compresi tra 120 e 320 grammi a settimana. Colpisce il paradosso del cibo non utilizzato, quando nella ricca Europa oltre 37 milioni di persone non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni e quasi 80 milioni di persone sono sotto la soglia della povertà. Ridistribuire il cibo è anche e soprattutto un dovere morale ed etico. Andando ad esaminare le cause dello spreco di cibo, supermercati e ipermercati giocano un ruolo non secondario, soprattutto legato all’inutile quantità e numerosità di merce esposta. La Grande Distribuzione mette a disposizione l’80% di cibo in più rispetto al fabbisogno della popolazione: in un supermercato troviamo 39 tipi di pane tra imbustato e sciolto, 23 tipi di pan carré, tramezzini e pane da toast, 13 tipi di piadine, 45 tipi di grissini, 15 tipi di bruschette varie e 23 di cracker. Negli ipermercati sono esposti  in vendita circa 50.000 prodotti alimentari. Facile immaginare la quantità enorme di cibo che deve essere tolta dagli scaffali e buttata. Un’altra grande fonte di spreco è la ristorazione pubblica; in Italia 227.000  punti bar, pizzerie, ristoranti e fast-food  buttano ogni anno più di 122.000 tonnellate di cibo invenduto. Nel podio delle fonti di spreco anche le navi da crociera, con i loro oltre 20 milioni di passeggeri l’anno e i quantitativi esagerati di cibo, triturati a bordo e gettati in mare. Lo spreco di cibo è forte persino nelle mense pubbliche: le scuole italiane offrono circa 380 milioni di pasti annui; del 10% non consumato (circa 90.000 tonnellate di cibo), l’85%  vien gettato come rifiuto. In alcuni Paesi, fortunatamente, le cose stanno cambiando. In Francia  – al primo posto nel Food Sustainability Index – ristoranti, supermercati e negozi  sono obbligati per legge a donare alle associazioni benefiche alimenti in scadenza e nella ristorazione sono quasi sempre presenti contenitori (doggy bag) per portare a casa il cibo non consumato. In Spagna, invece, i  prodotti in scadenza vengono offerti a prezzo dimezzato o destinati a enti, ONG e banchi alimentari, mentre gli  alimenti scaduti diventano mangime per gli allevamenti. In Italia alcune catene di supermercati stanno muovendosi per ridurre lo spreco di cibo, ma ci si affida soprattutto all’educazione alimentare, a Onlus come Banco alimentare o a progetti come Last Minute Market. (segue) (nella foto cibo raccolto dall’impresa sociale  Last Minute Market, ideata da Andrea Segré)