La storia di McDonald’s, la più importante catena di fast-food, è la storia del lavoro parcellizzato, ripetitivo e malapagato applicata alla ristorazione. Nelle città italiane si contano oggi circa 400 McDonald’s; il colosso della ristorazione veloce ha un fatturato di oltre 27 miliardi di dollari, 5 miliardi di utile netto, 35.000 ristoranti e 420.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo. McDonald’s è uno dei più potenti simboli della globalizzazione della società: per calcolare il potere di acquisto di un Paese qualcuno usa l’indice Big Mac che mette a confronto i prezzi del super panino: 4,33 dollari negli Stati Uniti, 75 rubli – 2.30 dollari- in Russia, 10 real, circa 5 dollari in Brasile, 3.80 euro in Italia.

La storia del fast-food inizia negli anni ’30. Nel 1937 due fratelli (Richard e Maurice McDonald) aprono un chiosco di hot dog ad Arcadia, in California; tre anni dopo il chiosco diventa un ristorante. Negli anni ’50 Ray Kroc, un fornitore di frullatori, rileva l’attività, la rende redditizia al massimo con l’uso della catena di montaggio e la scelta di materie prime scadenti ma economiche; quindi, fonda la “McDonald’s Corporation” (1955) e apre il primo ristorante nell’Illinois. Negli anni ’60 i ristoranti McDonald’s si diffondono capillarmente negli Usa e arrivano in Canada. Negli anni ’70 i fast-food sbarcano in Europa, negli anni ’80 in Italia, a Bolzano nel 1985, a Roma – in Piazza di Spagna – nel 1986. Da allora una continua crescita, con qualche piccolo incidente di percorso.

Il primo “incidente” è stato Super Size Me, film documentario, diretto ed interpretato da Morgan Spurlock, uscito nelle sale di tutto il mondo nel 2004; l’autore per 30 giorni mangia solamente cibo da McDonald’s, sospende ogni attività fisica per raggiungere la sedentarietà di uno statunitense medio (2500 passi al giorno) e documenta tutto; in un mese diventa obeso, ingrassando di 11 kg, è colpito da depressione e repentini alterazioni del tono dell’umore, ha problemi al fegato, tachicardia e disfunzioni sessuali.

Nel 2006 in Gran Bretagna – Paese con la massima obesità europea e altissimi tassi di malattie croniche – viene annunciata la chiusura di 25 ristoranti McDonald’s per mancanza di clienti. Nel 2011 il governo della Danimarca introduce una tassa sui cibi che hanno oltre il 2,3% di grassi saturi, per ridurre il consumo di cibo spazzatura. L’iniziativa danese si basa su migliaia di pubblicazioni scientifiche che documentano la stretta relazione tra cattiva salute e cattiva alimentazione; un recente studio del Dipartimento di salute pubblica alla Temple University di Philadelphia ha analizzato i prodotti di McDonald’s e di altri 7 grandi marchi (Burger King, Wendy’s, Taco Bell, KFC, Arby’s, Jack in the Box, Dairy Queen) arrivando ad alcune conclusioni che fanno riflettere; il primo dato riguarda la diffusione di questo tipo di pasti: nei giorni feriali circa il 40% dei ragazzi statunitensi mangia nei fast-food; il secondo dato prende in esame il presunto miglioramento del menù sbandierato dai gestori di fast-food; la ricerca sostiene che negli ultimi 14 anni non è cambiato quasi nulla; nonostante l’introduzione di insalate e carni grigliate, il bilancio finale delle calorie non è migliore perché sono aumentati i condimenti ipercalorici, i dessert e le nuove bevande zuccherate e dolci; secondo lo studio, pertanto, i cambiamenti dei prodotti dei fats-food sono stati per lo più di facciata, un modo di difendersi  dalle martellanti critiche dei responsabili della salute pubblica. (1-2014)