Per parlare di adolescenza e aggressività bisogna, innanzitutto considerare che il cervello in questa fase della vita è una struttura estremamente dinamica e plastica. Fino a circa i venti anni nelle strutture cerebrali dei giovani avvengono notevoli e rapidi cambiamenti che accompagnano la maturazione del sistema nervoso e del cervello. Un aspetto rilevante da tener presente è il diverso ritmo di sviluppo delle diverse aree cerebrali. I centri responsabili delle attività di controllo, soprattutto la corteccia prefrontale, completano più lentamente il loro sviluppo, diversamente dal sistema limbico, sede di strutture legate a comportamenti impulsivi e consumatori, compreso il sistema meso-limbico della ricompensa basato sulla dopamina.

Queste osservazioni sul cervello adolescente sono – in un certo senso – una premessa indispensabile per dare una risposta al fenomeno della così frequente aggressività degli adolescenti. Alla luce delle attuali conoscenze nel campo delle neuroscienze, infatti, la presenza di atteggiamenti aggressivi nell’adolescenza appare come un fatto – entro certi limiti – quasi naturale. L’adolescenza è il momento della vita nel quale si iniziano a provare desideri e a essere incuriositi da ciò che è al di fuori di noi e finiscono le sicurezze infantili di “onnipotenza” in cui tutto il mondo esterno è a disposizione del mondo magico del bambino. Questi primi movimenti verso gli altri, sostenuti da pulsioni istintive, possono quindi essere violenti, aggressivi, rudi o, comunque, poco civilizzati. E’ importante, pertanto, sapere distinguere tra un’aggressività “costruttiva”, indispensabile motore dello sviluppo, e un altro tipo di aggressività, un’aggressività distruttiva, rivolta contro se stessi che gli adolescenti provano quando non si sentono sufficientemente sostenuti.

Secondo D. W. Winnicott i figli sentono il bisogno di continuare a verificare se possono ancora fare affidamento sui loro genitori, talvolta ancora dopo che sono diventati genitori a loro volta; un tratto caratteristico degli adolescenti è, infatti, il metter alla prova tutte le regole, le norme, le discipline; è come se dovessero continuamente rinforzare il loro senso di sicurezza sfidando genitori e famiglia, insegnanti e amici, in generale qualsiasi persona essi incontrino. Se trovano serrature e catenacci saldamente sprangati, dice Winnicott, i giovani continuano a farli scattare, ad aprirli con violenza e a lanciarsi fuori. A che servono queste prove? Per Winnicott gli adolescenti da un lato hanno il bisogno di verificare che i controlli esterni siano ancora in funzione; dall’altro vogliono mettere alla prova la loro capacità di infrangere quelle barriere e affermare la propria personalità. “I ragazzi sani hanno bisogno di qualcuno che li disciplini, ma le regole devono essere imposte da persone che essi possono amare o odiare, che possono sfidare o ubbidire; è il vivo rapporto tra persone che offre lo spazio necessario per un effettivo sviluppo.” Nel difficile rapporto tra genitori e figli adolescenti possiamo citare in conclusione le parole del neuropsichiatra Giovanni Bollea. “Il rapporto con i figli si può riassumere in due parole: ascolto e dialogo. Il silenzio dell’ascolto e la parola del dialogo. I giovani non hanno la ricchezza del linguaggio adulto per esprimere il dolore psichico, lo esprimono piuttosto con alcuni comportamenti come capricci, testardaggine, apatia, noia, tristezza, chiusura artistica, instabilità, voracità, anoressia, depressione aggressiva, trasgressioni. Ma il sintomo è sempre un messaggio che pone una domanda: perché questa giovane persona ha bisogno di questo sintomo, che significato ha per lui?” Se – come qualcuno ha detto – gli adolescenti sono delle macchine sportive con i freni difettosi, saperli ascoltare e accettare un vero dialogo forse li aiuterà a tenere meglio la strada, ricordando che un tempo le macchine senza freni eravamo noi adulti. (2008)