Capitalismo e salute
Il Global Health Observatory (GHO) dell’OMS ha pubblicato i dati sulle stime della mortalità per causa, età, sesso, per paese e per regione nel periodo 2000-2016. Le malattie croniche non trasmissibili – malattie cardiache, ictus, cancro, diabete e malattie polmonari croniche – hanno causato il 71% dei decessi a livello globale, passando dal 37% nei paesi a basso reddito all’88% nei paesi ad alto reddito. In termini di numero assoluto di morti, tuttavia, il 78% dei decessi totali da malattie non trasmissibili si è verificato nei paesi a basso e medio reddito. I dati in continua crescita delle patologie croniche ci portano a domandarci se stiamo veramente affrontando le cause reali di questa pandemia. Le soluzioni scientifiche proposte per denutrizione cronica, obesità e malattie croniche, infatti, si affidano soprattutto a interventi tecnici, quando invece sono da ricercarsi in ambito sociale, dato che – fin dalla sua nascita – capitalismo e salute sono sempre stati in conflitto, in particolare nell’ambito della nutrizione. E’ questa la tesi di fondo delle oltre 900 pagine di Cibo, salute e libertà (2018, Aboca) di Jonathan C.K. Wells, professore di Antropologia e nutrizionismo pediatrico presso lo UCL Institute of Child Care di Londra, uno dei ricercatori di punta sugli studi sull’alimentazione infantile. Lo sviluppo biologico della maggior parte degli animali – uomo compreso – è contrassegnato da periodi critici, durante i quali effetti fisiologici indotti dall’ambiente rimangono persistenti a distanza di molti anni. L’infanzia è il più importante periodo critico, dato che in essa si determina una sorta di imprinting metabolico, capace di modellare lo sviluppo futuro dell’individuo. Wells ricorda che nelle prime fasi della vita fetale e neonatale si acquisisce capacità metabolica, ossia l’insieme di caratteri fisiologici capaci di mantenere l’omeostasi, attraverso il numero di nefroni dei reni, la massa muscolare, il numero di cellule beta del pancreas, il diametro dei vasi e le dimensioni delle vie aeree dei polmoni. Chi ha un basso peso alla nascita, nasce con organi mediamente più piccoli e circa il 25% in meno di massa magra; per recuperare lo svantaggio iniziale si ha grande aumento della sensibilità all’insulina, che promuove la crescita rapida in recupero, ma anche un aumento della massa grassa. Nascere sottopeso, quindi, significa partire con una pesante ipoteca sulla salute futura in relazione al rischio di ipertensione, insulino-resistenza, intolleranza al glucosio o diabete, livelli alti di LDL e trigliceridi, aumento della proteina C reattiva e malattie cardiovascolari. Che cosa determina un basso peso alla nascita? Principalmente la scarsità di cibo per le madri. Nella maggior parte dei gruppi umani peso alla nascita e povertà sono strettamente associati, così come statura e reddito: chi appartiene a fasce di popolazione con basso reddito nasce mediamente sottopeso e rimane mediamente con una statura inferiore. Oggi sappiamo – con l’epigenetica – che l’ambiente influenza l’espressione dei geni e mantiene le modifiche da una generazione all’altra. Una ridotta alimentazione materna e difficili condizioni socio-economiche nella prima infanzia lasciano una pesante eredità nelle generazioni successive. Ancora oggi – a 70 anni dall’indipendenza dalla Gran Bretagna – la maggioranza degli organi vitali degli Indiani ha massa ridotta rispetto agli Europei: una riduzione del 30% nel cuore, del 25% nel fegato e valori simili nella massa magra muscolare. Nell’800 una situazione simile era presente anche in Europa: negli anni ’70 dell’800 in Italia gli adolescenti poveri erano 11 centimetri più bassi dei coetanei ricchi; verso il 1840 – 30 anni prima – in Gran Bretagna, patria del capitalismo moderno – la differenza tra sedicenni ricchi e poveri aveva addirittura raggiunto i 22 centimetri. Con una mole di dati e di studi notevoli Wells vuole farci capire che il responsabile del cattivo stato di salute di gran parte della popolazioni umane attuali è proprio il modello economico capitalistico. Il capitalismo crea continuamente disuguaglianze: mentre divide le ricchezze in modo sempre più diseguale, fa aumentare le disuguaglianze sulle scelte alimentari (le “nuove differenze di classe” di cui parla Marc Augè), sull’attività fisica e sull’esposizione alle malattie. Il capitalismo, inoltre, nasconde sempre i suoi veri costi: nel passato lo spaventoso costo sociale di cui non si parlava era soprattutto il lavoro degli schiavi e lo sfruttamento coloniale, oggi è la suscettibilità a malattie croniche di milioni di bambini esposti a cibo e tecnologie non salutari. I costi fisiologici e sociali del cibo-spazzatura industriale di oggi si vedranno con due o tre decenni di ritardo: la grande industria del cibo industriale ultra-processato conta su questo scarto temporale per continuare tranquillamente a seminare malattie e fare profitti. (8-2019)
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