L’aumento delle disuguaglianze socio-economiche e il peggioramento della salute pubblica sono due pesanti ipoteche sul futuro delle prossime generazioni. Sul sito della Commissione Europea per la Salute si trova l’indicatore Health life years at birth; se lo analizziamo, vediamo che nel nostro Paese -dal 2003 in poi – si riduce fortemente l’aspettativa di vita in salute, in modo particolare nelle donne. La nostra longevità è sempre maggiore, ma la vita senza farmaci e altri presidi medici si accorcia drasticamente ed è la prima volta che succede. Il fenomeno è sicuramente collegato all’aumento di molte patologie cronico-degenerative fra cui, in primo luogo, il cancro. I tumori – seconda causa di morte nel mondo, dopo le malattie cardio-vascolari – sono collegati strettamente all’ambiente, 8 tumori su 10 dipendono da ciò che mangiamo e da ciò che respiriamo, dal nostro modo di vivere. Nelle nostre società occidentali sono di fatto presenti tutti i presupposti per favorire le malattie oncologiche. Innanzitutto, l’abbandono della dieta mediterranea e il prevalere del modello alimentare nordamericano, la generale riduzione dell’attività fisica e l’enorme diffusione delle vetture private, la presenza di impianti industriali e centrali termoelettriche, l’invecchiamento sempre maggiore della popolazione. Circa due anni fa, nel marzo 2013, la rivista Lancet ha pubblicato uno studio sulla longevità di 19 Paesi europei. Al primo posto la Spagna, poi noi Italiani, quindi Francia, Germania e Svezia. Solo quattordicesimi gli Inglesi. Molti sono stati colpiti dal fatto che a capeggiare la classifica fossero due stati dalle economie non proprio floride, come Spagna e Italia, e con spese sanitarie inferiori. Sicuramente si tratta di due Paesi che hanno un’alimentazione mediamente migliore di quella inglese; anche se la dieta mediterranea sembra un ricordo degli anni ’50, sicuramente influisce nel modello alimentare italiano e spagnolo la grande varietà di frutta e verdura, il ridotto apporto di grassi animali e l’uso dell’olio d’oliva; un altro fattore che depone a sfavore degli Inglesi sembra essere la forte assunzione di alcol in brevi intervalli di tempo (di solito, nel fine settimana) con l’aumento del rischio di ammalarsi di demenza senile. Meno alcolici, più vegetali e grassi di qualità migliore non spiegano, però, questi dati. Tra i Paesi in fondo alla classifica di tutti gli indicatori socio-sanitari c’è infatti il Portogallo, con alimentazione più simile alla nostra, ma disuguaglianze economiche più vicine a quelle inglesi. Il punto è proprio questo: nelle società caratterizzate da forti disuguaglianze economiche – il modello anglo-statunitense, per capirci – tutti gli indicatori di benessere tendono al peggio, a partire dalla salute. Nei Paesi in cui la distribuzione della ricchezza è fortemente diseguale si riscontrano alcune caratteristiche che difficilmente si penserebbe di collegare: a) bassa speranza di vita alla nascita; b) alta mortalità infantile; c) maggior numero di gravidanze adolescenziali; d) alti tassi di incarcerazione;  e) minor rendimento scolastico degli studenti; f) maggior incidenza delle malattie mentali; g) alte percentuali di alcolisti e consumatori di droghe; h) maggior tasso di sovrappeso e obesità; questi 8 parametri sono l’evidente dimostrazione di un peggior stato di salute fisica, psichica e sociale. Gli epidemiologi Richard Wilkinson e Kate Pickett hanno sintetizzato 30 anni di ricerche e confronti statistici in un eccellente lavoro intitolato “La misura dell’anima”. Il sottotitolo spiega tutto: “Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici”. Con una serie impressionante di dati e tabelle statistiche i due studiosi fanno vedere come in una società in cui il divario tra le fasce ricche di popolazione e quelle povere è alto, il risultato inevitabile sarà: più obesi e più malati di mente, più carcerati e più violenza. Una crescita economica che ottenga solo l’aumento del PIL del Prodotto Interno Lordo, senza ridurre le differenze di reddito non rende una nazione più sana, più felice, più soddisfatta: semplicemente peggiora la qualità della vita, anche degli strati più ricchi di popolazione. I problemi sanitari e sociali sono evidentemente correlati alla disuguaglianza, ma vengono colpevolmente trattati dai politici e dai responsabili delle politiche sanitarie come se fossero fenomeni distinti, non connessi. Il messaggio che emerge da questo libro è forte e chiaro: ripensare la follia liberista degli anni ’80 e ’90, impersonata da Reagan, da Thatcher e dai loro emuli, per ridurre la forbice sociale e costruire società più solidali e, quindi, più sane. (4-2015)