Storia dell’alcol
La storia dell’alcol è sorprendente. Si ritiene che le prime bevande alcoliche siano comparse sulla Terra più di 20.000 anni fa per divenire rapidamente protagoniste della vita sociale, culturale e religiosa dell’uomo. Probabilmente già i cacciatori e i coltivatori della preistoria conoscevano l’effetto stupefacente dei frutti fermentati. Secondo l’archeologo Patrick McGovern l’inizio dell’agricoltura e della coltivazione di cereali avrebbero avuto come obiettivo più la produzione di birra che quella di cereali. Anche senza accogliere posizioni così radicali, è indubbio il legame tra i primi passi dell’agricoltura e la comparsa dell’alcol nella storia umana. Le origini del vino sono remote e probabilmente legate a diverse civiltà. Ai Sumeri, prima civiltà in senso moderno, molto probabilmente dobbiamo anche l’invenzione del vino: il Codice di Hammurabi del 1800 a. C. riporta alcune leggi che servivano a regolare il commercio del vino nel regno babilonese. Vino e birra venivano usati nell’antico Egitto come offerte sacrificali agli dei e come medicamenti per gli uomini. Dall’Egitto la vite passò facilmente in Grecia e sotto l’Impero Romano la coltivazione della vite conobbe il suo massimo splendore, tanto che i Greci chiamavano l’Italia Enotria, Paese del vino. Anche in Cina le produzioni alcoliche a partire dal riso sono estremamente antiche. Birre di mais e di manioca erano molto diffuse tra gli Incas; lo sono ancora tra le popolazioni attuali sudamericane, così come le birre di sorgo e miglio tra quelle africane. Nella Bibbia si parla più volte del vino, biasimandone l’uso eccessivo; nel Corano vi sono accenni di condanna all’abuso dell’alcol e su questi accenni diverse società islamiche hanno costruito l’attuale proibizione e condanna dell’alcol. Il Cristianesimo, al contrario, fece del vino il simbolo del sangue di Gesù e non prese mai nette posizioni di condanna.
Fino al 19° secolo, l’acqua veniva – a ragione – considerata una bevanda pericolosa, almeno nella nostra società: nel corso dei secoli, infatti, si era mostrata nociva e capace di provocare malattie acute e croniche: di conseguenza si evitava di berla, preferendo vino o birra. La spiegazione? Molti batteri nell’acqua non depurata sopravvivono e si riproducono, mentre nel vino muoiono per l’acidità, la presenza di alcol e di tannini. Solo nell’Ottocento iniziarono ad apparire efficaci metodi di depurazione dell’acqua ed fu chiara l’utilità della bollitura per un consumo più sicuro. Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, i movimenti contrari all’uso dell’alcol riuscirono ad imporre in alcuni Paesi legislazioni proibizionistiche. La Finlandia promulgò nel 1884 leggi molto severe che regolavano la vendita dei liquori; qualche decennio dopo gli alcolici vennero proibiti, con la conseguente nascita di un mercato nero. Molto più conosciuta è la storia del proibizionismo statunitense. Nel 1919 fu vietata la fabbricazione, la vendita e il consumo di alcol in tutto il Paese. In breve tempo i risultati della legge si rivelarono catastrofici: nascita del mercato nero, gangsterismo, guerra senza quartiere tra i contrabbandieri e le diverse organizzazioni criminali per conquistare l’ingente giro di affari. L’esperienza proibizionista è oggi universalmente riconosciuta come fallimentare, perché aggravò invece di ridurre il problema dell’abuso di alcol: il Presidente F. D Roosevelt vi pose fine, dopo 14 anni, nel 1933.
L’alcol resta, comunque, la sostanza psicotropa (droga) più diffusa nel mondo occidentale e in quasi tutte le società umane. L’etimologia della parola alcool risale agli Arabi: significa “il meglio di una cosa“: oggi, tuttavia, l’abuso di alcol rappresenta la terza causa di morte, dopo malattie cardiovascolari e tumori (due gruppi di patologie che l’alcol, peraltro, contribuisce in modo consistente a causare). Quando si parla di alcol, appare necessario ricordare il concetto biologico di ormesi, secondo il quale si possono avere effetti opposti in base alle dosi assunte di alcune sostanze. Un moderato consumo di vino rosso – un bicchiere al giorno per le donne e due2 per gli uomini – può avere effetti positivi per le proprietà antiossidanti, anti radicali liberi, antitrombotiche e antiinfiammatorie del resveratrolo, fenolo presente nella buccia dell’acino d’uva. Sì all’alcol, allora, ma solo all’interno di una “cultura del bere” che punti a ridurre progressivamente il consumo di alcolici orientandolo verso l’assunzione moderata di prodotti di qualità (nella foto; Reverlry at the Inn di Jan Steen, 1674).
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