Qualche mese fa è morto nella sua Pisa Marcello Buiatti, grande figura di scienziato ambientalista. Laureato in scienze agrarie all’Università di Pisa, si era specializzato in genetica a Pavia ed era stato professore di genetica a Firenze dal 1978 al 2011, dove fu un punto di riferimento per intere generazioni di studenti, con la sua apertura mentale che gli permetteva di spaziare dalla genetica all’ecologia, dall’epigenetica alla botanica. Nel corso della sua lunga carriera di studioso era entrato in contatto con grandi figure scientifiche come il biofisico Adriano Buzzatti Traverso, il genetista di popolazioni Luca Cavalli Sforza e il biologo evoluzionista Michael Lerner. Era anche stato come agronomo nella Cuba di Fidel Castro.

Più in generale Buiatti rientra a pieno titolo nel gruppo novecentesco della biologia evoluzionistica non dogmatica rappresentata da Joseph Needham, Conrad Waddington, Richard C. Lewontin, Richard Levins, Steven Rose, Stephen J. Gould ed Eva Jablonka. A loro – ed a tanti altri biologi – dobbiamo una visione del mondo vivente aperta, sistemica, non più centrata sul determinismo dei geni o sulla selezione. Buiatti era anche un grande conoscitore della storia della scienza, e della biologia in particolare. Intratteneva rapporti con il filologo marxista Sebastiano Timpanaro, con i filosofi della scienza della scuola di Ludovico Geymonat e con la scuola di filosofia della scienza romana. Insieme a Giulio Maccacaro, Marcello Cini, Laura Conte e Giorgio Nebbia aprì in Italia la strada all’ambientalismo scientifico, che trovò negli anni ’70 la sua massima espressione nella rivista Sapere.

Ho avuto l’onore e il piacere di conoscere Marcello Buiatti qualche anno fa ad un convegno del Circolo Bateson di Roma (Umani e mondo vegetale: differenze e connessioni, 2016). Dopo la sua lectio magistralis sul mondo vegetale, mi sono trovato a tavola con lui per parlare di biologia e riduzionismo, di razzismo e del rapporto scienza-capitale. Grazie a quella conversazione informale ho definitivamente superato il retaggio universitario di una biologia basata sul dogma centraleDNA-RNA-proteine” e ho avuto lo stimolo ad approfondire il ruolo dell’epigenetica in una lettura del mondo vivente come insieme di co-costruzioni reciproche tra organismi, microorganismi e ambiente. Un’altra suggestione di quell’incontro fu l’invito ad avvicinarsi al nuovo campo di ricerca Eco-Evo-Devo (Ecological Evolutionary Developmental biology), per comprendere gli stretti legami tra l’evoluzione e la genetica dello sviluppo alla luce dell’ecologia.

Tra le sue tante pubblicazioni ricordo “Le frontiere della Genetica” (Editori Riuniti, 1984), “Le biotecnologie” (Il Mulino, 2001) e “Il benevolo disordine della vita” (Utet, 2004 ). In quest’ultimo lavoro con il suo linguaggio scientifico “chiaro, onesto e rigoroso” (come piaceva a Gould), Buiatti ci ha lasciato il messaggio fondamentale per continuare la vita sul pianeta: “senza diversità si muore“. (nella foto In peaceful fields di Andrei Mylinikov, 1950)