Storia dell’automobile
La storia dell’automobile è la storia del 900, la storia del secolo breve. Oggi in molti si chiedono se l’auomobile privata abbia o meno un futuro. Guido Viale ha pochi dubbi. Nel suo Vita e morte dell’automobile (2007, Bollati Boringhieri) scrive: “Bisogna convincersi che l´automobile, come mezzo di trasporto privato, non ha futuro. Che possiamo procrastinarne la fine ma solo per poi accorgerci che abbiamo buttato una montagna di denaro (pubblico e privato), di tempo, di risorse (intellettuali e ambientali) in un pozzo senza fondo”. Ma come siamo arrivati a questo punto?
L´invenzione del motore a combustione interna, circa 100 anni fa, ha permesso ai primi veicoli a motore di sostituire i cavalli, i carri e le carrozze nei percorsi urbani e in quelli dove non arrivava la ferrovia. Negli anni ‘20 e ‘30 negli Stati Uniti vi fu la svolta che portò alla diffusione di massa dell’auto; la grande industria statunitense dell´auto comprò le società private che gestivano il trasporto pubblico locale, le fece chiudere e obbligò chi voleva o doveva muoversi a comprarsi una vettura privata (in quegli anni prodotta dagli stabilimenti di Henry Ford a prezzi accessibili anche agli operai, grazie all’aumento di produttività e alla diminuzione dei costi della catena di montaggio fordista e taylorista). Iniziò allora lo smantellamento del trasporto pubblico, in particolare di quello ferroviario, per imporre l´auto privata come veicolo esclusivo della mobilità interurbana. Negli anni Cinquanta, 20 anni dopo il modello autostradale tedesco, gli Stati Uniti misero in funzione la loro rete nazionale di autostrade. Mandare in pensione i tram elettrici e rendere marginale il trasporto ferroviario non è stata solo una questione legata a un particolare modello di mobilità. Per Viale imporre l´auto come modello privilegiato di mobilità, ha comportato anche imporre “le principali caratteristiche dell´epoca in cui viviamo: individualismo, consumismo, lavoro ripetitivo, parcellizzato e controllato meccanicamente “
L’automobile ha distrutto le piazze, intese come luoghi di ritrovo della comunità, del quartiere o del paese; il traffico impedisce la socialità. Il problema non è solo trovare auto pulite, a idrogeno che emettono solo acqua, o auto elettriche, silenziosissime. Non vivremmo bene neanche con 36 milioni di auto ecologiche. Va ripensata tutta la mobilità, partendo dalla necessaria riduzione delle auto circolanti e dalla rinuncia alla proprietà individuale dei mezzi di locomozione (ad esempio, con l’auto in comproprietà, il car-sharing, e con l’auto a noleggio), favorendo il trasporto pubblico sostenibile. Con l’enorme spazio liberato dalle auto private parcheggiate si avrebbero più spazi pubblici e più verde per tutti; più panchine e tavolini per godersi la città e il quartiere; marciapiedi più larghi per camminare meglio, piazze e piazzette per incontrarci e per far giocare i bambini.
Come scriveva profeticamente Aurelio Peccei nel 1971 “L’automobile vive i suoi ultimi anni di gloria in quanto bene personale, proprietà privata, espressione di status sociale. L’assurda situazione delle nostre grandi città – Parigi, Roma, New York o Tokyo – è legata al retaggio del passato e cioè alla sopravvivenza di una vecchia mentalità, dura a morire. Non c’è dubbio che l’automobile individuale, che utilizziamo due o tre ore al giorno, che occupa spazio e inquina i luoghi in cui passiamo la parte più importante della nostra vita, è un anacronismo. L’automobile deve diventare semplicemente un bene d’uso con le seguenti caratteristiche: massima sicurezza; minimo inquinamento, minimo ingombro”. (nella foto: la Ford Model T del 1908) (2010)
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