Nella storia delle diete gli anni ’70 si aprono con una “rivoluzione dietetica” legata a un cardiologo di nome Robert C. Atkins. Il dottor Atkins si occupava delle malattie cardiovascolari, ma la dieta che ideò nel 1972 era rivolta soprattutto ai pazienti con diabete, una malattia cronica che stava iniziando la sua diffusione planetaria, proprio a partire dagli Stati Uniti. La dieta Atkins (nella foto), pertanto, nasceva come regime a basso contenuto glucidico, iperproteico e iperlipidico, con i carboidrati – di qualsiasi genere – fortemente penalizzati. In un giorno medio era prevista la colazione tipicamente nordamericana con uova fritte e pancetta, uno spuntino di formaggio e pranzo con secondo (soprattutto carne) accompagnato da verdure. Naturalmente le attuali linee guida internazionali per il diabete prevedono un menù completamente diverso; la dieta Atkins, tuttavia, è stata molto seguita come dieta dimagrante e ogni tanto rispunta fuori una qualche sua variante con nomi più accattivanti (dieta metabolica, ad esempio), ma con lo stesso impianto di fondo: eliminare i carboidrati, considerati il male assoluto. L’errore di fondo di questa impostazione sembra legata alla provenienza degli autori. In un Paese come gli Stati Uniti dove i prodotti a base di cereali integrali sono riservati alle élites, dove un piatto di verdura costa più di un panino da fast-food e dove le bevande zuccherate sono molto più economiche dell’acqua, zuccheri e carboidrati vengono percepiti molto più pericolosi della carne degli allevamenti industriali.

Parlando di diete made in USA degli anni ’70, non può mancare un breve cenno a tre diete oggi poco conosciute. La prima è la dieta del burro d’arachidi (peanut-butter diet), una dieta lampo lanciata nel 1974 che prevedeva un menù con tre pasti al giorno a base di panini con crema di arachidi e latte intero. Ogni commento pare inutile. L’anno dopo ritornò in auge – dopo i biscotti dimagranti degli anni 20 – un’altra dieta dei biscotti (cookie diet), L’aspetto interessante di questa dieta proposta da un medico della Florida (il dr. Siegal) è che si basava su pasti sostitutivi; i biscotti della dieta, infatti, erano preparati con una miscela di aminoacidi e zuccheri che avrebbe dovuto eliminare gli attacchi di fame. La terza dieta sarebbe passata inosservata, se non avesse avuto un famosissimo testimonial in Elvis Presley. La rock star negli ultimi anni della sua vita, con una grave obesità legata all’abuso di psicofarmaci (era arrivato a oltre 140 chili), provò a dimagrire mettendosi a letto per alcuni giorni, sotto sedazione, per non mangiare: era la dieta dei sonniferi (sleeping beauty diet), comparsa nel 1976 e scomparsa rapidamente senza lasciare traccia.

Ben altro successo ebbe Slim Fast, la nuova dieta dimagrante, arrivata sul mercato USA nel 1977 e poi diffusasi in tutto il mondo. Il nuovo approccio all’obesità era quello di puntare sui pasti sostitutivi preconfezionati: nel caso di Slim Fast si trattava di bibitoni ipocalorici – o barrette – al sapore di fragola e cioccolato che dovevano sostituire due dei tre pasti principali, lasciando il terzo libero; erano previsti anche tre spuntini nonché, per la gioia degli orfani dei fast-food, patatine fritte (e cioccolato). Anni dopo Herbalife, Dukan, Melch e la sua dieta tisanoreica, Panzironi e molti altri riprenderanno l’idea di Slim Fast di sostituire un pasto cucinato con un preparato da acquistare. Gli anni ’70 si chiusero con il ritorno – nel 1980 –  della dieta della zuppa di cavolo (cabbage soup diet), lanciata negli anni’50 e più volte ripresa. L’obesità nel frattempo era leggermente salita dal 13 al 15%. Niente faceva presagire l’esplosione degli anni successivi. (segue)