Umanità senza cure
Oltre un miliardo di persone nel mondo non ha accesso a cure sanitarie adeguate. In larga maggioranza si tratta di donne e bambini: il diritto alla salute enunciato solennemente nella Dichiarazione universale dei diritti umani è dunque oggi lettera morta, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Si pone quindi l’urgenza di costruire o riformare sistemi sanitari equi nei Paesi in via di sviluppo. Nel 1978, sullo sfondo della guerra fredda, 134 Stati membri dell’OMS, 67 agenzie internazionali e diverse organizzazioni non governative, riuniti nella Conferenza di Alma-Ata (allora URSS, oggi Kazakistan), raggiunsero un accordo epocale. Fu proposto il superamento del modello medico tradizionale, riconoscendo l’importanza per la salute dei fattori socio-economici come prospettiva di riferimento per raggiungere “la salute per tutti” nell’anno 2000. Le cose poi sono andate in tutt’altro modo e oggi – a 30 anni da quella storica conferenza – si pone l’urgenza di costruire o riformare sistemi sanitari equi nei Paesi in via di sviluppo.
Mentre in quasi tutti i Paesi industrializzati i sistemi socio-sanitari sono prevalentemente pubblici – con la notevole eccezione del sistema sanitario statunitense che lascia 50 milioni di cittadini senza la minima copertura medica – nelle aree più problematiche del mondo prevale il settore privato, con poche eccezioni nei Paesi a economia pianificata (Cina, Cuba, Vietnam). Il peggioramento della situazione sociale nel Terzo Mondo è una delle manifestazioni più evidenti della globalizzazione. L’applicazione delle politiche di aggiustamento, le crisi finanziarie e la crescente instabilità provocata dal processo di globalizzazione, hanno segnato profondamente la realtà sociale dei paesi sottosviluppati.
Secondo dati delle Nazioni Unite, nel 1960 il 20 % della popolazione mondiale che viveva nei paesi più ricchi aveva 30 volte l’entrata del 20 % più povero. Quaranta anni dopo questa relazione, che avrebbe dovuto ridursi, era invece di 74 volte superiore.
La spesa sanitaria pro-capite è oggi lo specchio di questa situazione: secondo la Banca mondiale, nei Paesi ad alto reddito è, in media, di 3.450 dollari, mentre in quelli a basso reddito è di soli 30 dollari. Anche per chi non ha dimestichezza con la matematica, diciamo che si tratta di un fattore 100. E sono le donne le prime vittime delle carenze sanitarie: ogni minuto nel mondo una donna muore per problemi in gravidanza o complicazioni del parto (oltre 500.000 decessi all’anno), e ogni 8 minuti una donna muore per complicanze correlate ad aborti effettuati in condizioni di non sicurezza. Inoltre, secondo il Rapporto Unicef 2009, ogni anno circa 4 milioni di neonati muoiono entro 28 giorni dalla nascita. Qualsiasi commento sembra superfluo: la “salute per tutti” è rimasto lo slogan di una conferenza che ha fatto storia ma non ha cambiato le cose in profondità. (2010)
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