Quasi 3 anni fa – nell’aprile 2009 – era iniziato il processo istituito dal giudice Raffaele Guariniello contro la Eternit AG di Casale Monferrato, ritenuta responsabile delle numerose morti per mesotelioma avvenute tra gli ex-dipendenti delle fabbriche Eternit Ag a contatto con l’asbesto. A febbraio il Tribunale di Torino ha emesso una sentenza storica, condannando i due titolari della Eternit Ag – Stephan Schmidainy e Jean Marie de Cartier – a 16 anni di reclusione e al risarcimento dei danni alle circa 3.000 vittime. E’ il primo caso al mondo in cui i vertici aziendali vengono condannati per “disastro ambientale aggravato”. Potrebbe dare il via a decine di processi in tutta Europa e lanciare un forte segnale a chi ancora produce, esporta, importa e utilizza materiali a base di amianto. Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato, fondato nel 1907, rappresentava il più grande stabilimento di manufatti in cemento-amianto d’Europa e, nel corso degli anni, ha messo in commercio le lastre ondulate usate nei tetti e nei capannoni, i tubi in fibrocemento per acquedotti e molti altri prodotti usati in scuole, ospedali, palestre e cinema. A partire dagli anni 60 divenne evidente che la polvere di amianto provoca sia l’asbestosi, una gravissima patologia professionale a carico del polmone, sia tumori maligni della pleura (detti mesoteliomi) e del polmone. Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato fu finalmente chiuso nel 1986. Sei anni dopo, nel 1992, l’uso dell’amianto fu messo fuori legge in Italia, ma le malattie e le morti da amianto sono continuate, perché l’intervallo tra l’esposizione alla polvere e la possibile insorgenza del mesotelioma possono passare 30 anni.

I morti da amianto si contano a migliaia in tutto il mondo. Nell’area più industrializzata del pianeta (Europa occidentale, Scandinavia, Nord America, Giappone e Australia) nel 2000 si stimavano 20.000 casi di tumore al polmone e 10.000 casi di mesotelioma. Nel solo Regno Unito ogni anno si contano 3.500 morti provocati dall’esposizione all’amianto. Nonostante le chiare evidenze scientifiche sull’estrema pericolosità per la salute dell’amianto solo 52 stati hanno messo al bando l’amianto, quasi tutti occidentali: in Asia, Europa Orientale, Africa e America Latina si usa amianto o prodotti che contengono amianto (in particolare nel cosiddetto BRIC, sigla che raccoglie le economie emergenti di Brasile-Russia-India-Cina). Stime prudenti parlano di circa 125 milioni di persone esposte all’amianto nel posto di lavoro, quasi sempre senza misure di protezione. La produzione e l’utilizzazione di amianto dovrebbe essere bandita in tutti i paesi del mondo. Esiste un accordo internazionale deputato a regolamentare l’uso di sostanze pericolose per la salute, si tratta della Convenzione di Rotterdam (2005) il cui compito è proprio quello di proteggere i paesi più deboli dall’importazione di sostanze nocive, attraverso un’adeguata informazione su tutti i possibili rischi per la salute.  E’ stato proposto di includere l’amianto nell’elenco delle sostanze nocive per la salute, ma ciò non è avvenuto. Non perché l’amianto non meritasse di entrare nella lista, ma perché l’inserimento nella lista richiede l’unanimità dei paesi: Vietnam, Zimbabwe, Russia e due ex stati dell’Unione Sovietica si sono opposti.

Mentre a Casale Monferrato si spendono milioni di euro per la bonifica da amianto, nel mondo si stanno creando le condizioni per una futura pandemia di tumori maligni da amianto di dimensioni impressionanti. L’associazione Medicina Democratica da molti anni si batte per la salute degli operai e delle popolazioni. Questo il suo commento alla sentenza di Torino: “Un po’ di giustizia è stata fatta anche se i morti non tornano e il disastro ambientale è rimasto. Non solo, purtroppo l’epidemia da amianto nei luoghi delle esposizioni continuerà ancora per numerosi anni”. (2012)