Comunismo e decrescita
Saito Kohei è un giovane filosofo giapponese – ha 38 anni – che insegna all’Università di Tokyo. Nel 2020 ha pubblicato “Il capitale nell’Antropocene“, un libro che rilegge Marx alla luce dei suoi appunti degli ultimi anni, dei testi inediti presenti all’interno della nuova edizione completa delle opere di Marx ed Engels (Die Marx-Engels-Gesamtausgabe). Il libro è diventato un best-seller in patria e ha avuto moltissime traduzioni, risvegliando un forte interesse per il pensiero di Marx, del quale viene sottolineata l’evoluzione: da sostenitore convinto della visione progressista della storia, con al centro il primato della produzione, a convinto paladino di una nuova visione ecologista dell’economia politica. Kohei inizia il suo lavoro ricordandoci due fatti essenziali. Innanzitutto, la crisi climatica non è il nostro futuro, ma il nostro presente. In secondo luogo, la causa del riscaldamento climatico non è responsabilità generica dell’umanità, ma del 10% della popolazione mondiale più ricca, che da sola produce oltre il 50% delle emissioni di anidride carbonica, attraverso mezzi di trasporto sovradimensionati, case enormi, viaggi aerei e consumo eccessivo di carne. Ancora più responsabili – sostiene Kohei – sono quegli 8 milioni (lo 0,1%) di miliardari che consumano e inquinano migliaia di volte più della media. La nostra “vita agiata” – argomenta Kohei – è resa possibile dalla società dell’esternalizzazione, un modello economico in cui il metallo delle macchine e dei computer, la benzina, il cotone degli abiti e la carne arriva da lontano, da Paesi dove le risorse vengono razziate, impoverendo ed inquinando il territorio. Kohei lo chiama il “modello di vita imperiale“. Rifacendosi alla teoria di Immanuel Wallerstein del “sistema Mondo“, Kohei fa vedere come la globalizzazione iniziata negli anni ’80 con il liberismo abbia esasperato il sovrasviluppo del Nord del mondo e il sottosviluppo del Sud, attraverso uno scambio ineguale che aumenta le disuguaglianze tra le parti del mondo. La caduta del Muro di Berlino ha tolto le ultime frontiere ed ha permesso al capitalismo di sfruttare tutto ciò che era potenzialmente sfruttabile. L’aspetto nuovo di questi anni – dice Kohei – è che la pubblica opinione del Nord (ovvero i nostri mezzi di comunicazione e la nostra politica) sembra essere passata dalla posizione di “non sapere” a quella di “non voler sapere“, per non mettere in discussione i vantaggi di questo scambio ineguale che porta a noi i vantaggi e al Sud del mondo le devastazioni ambientali e sociali. La critica radicale di Kohei al nostro attuale sistema economico si basa sulla tendenza strutturale – non contingente, quindi – del capitalismo ad aumentare sistematicamente il valore di scambio e l’accumulazione, senza tenere conto dei limiti della biosfera. E’ la crisi dell’Antropocene, che possiamo ben sintetizzare in questa frase. “Chi crede ad una crescita esponenziale infinita dell’economia in un mondo dalle risorse limitate o è fuori di testa o è un economista o è entrambe le cose“. Una cosa da cui Kohei mette in guardia è il pensare di risolvere la crisi attuale con i soli strumenti della tecnologia, senza mettere in discussione il concetto tossico di crescita economica a tutti i costi (come espressione del PIL dei singoli stati). Con molti e ben documentati esempi Kohei fa vedere come ad ogni maggior efficienza nell’uso di una risorsa corrisponda inevitabilmente un maggior consumo di risorse. Se riusciamo a produrre televisori e computer più efficienti, ma poi ne aumentiamo enormemente la quantità, l’impatto ambientale non diminuisce. Stesso discorso per le auto elettriche, con le componenti chiave delle batterie provenienti da Paesi devastati da guerre coloniali. Si tratta del “paradosso di Jevons“, una legge generale scoperta a metà dell’800: quando miglioriamo l’efficienza di una risorsa, il suo maggior consumo peggiora la situazione, non la migliora (Jevons ai suoi tempi si riferiva all’uso del carbone in Inghilterra). Che fare allora? Per il filosofo giapponese l’unica risposta sensata è il comunismo della decrescita, un modello economico che “salverà il mondo” dalla più grande recessione ecologica della storia dell’umanità. Il capitalismo non ci porterà fuori dalla crisi, perché qualsiasi ricetta economica basata su una crescita continua comporterà la distruzione del pianeta. L’unica possibilità è tirare il freno. E Marx, dice Kohei, al riguardo, ha tanto da insegnarci. (nella foto un’immagine di Karl Marx tratta da The Guardian del 09.09.2022)
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