No al biogas
No al biogas. Sabato 24 novembre il professor Gianni Tamino ha partecipato ad una manifestazione-incontro per dire no all’impianto a biogas che si sta costruendo a Cerveteri, nella zona del Sasso. Gianni Tamino è un biologo, insegna all’Università di Padova; da quasi 40 anni è in prima linea nelle battaglie ambientaliste. Ricordo i suoi lucidi e circostanziati interventi sulle politiche ambientali, già negli anni 70, quando fu anche eletto deputato nelle liste di Democrazia Proletaria. Nella sala gremita del cinema Quantestorie di Manziana – un faro nella notte per chi ama il buon cinema – Tamino ha esposto con chiarezza quello che significa accettare gli impianti a biogas. Innanzitutto, da biologo, ha ricordato che i sistemi naturali utilizzano il Sole come fonte di energia esterna e lavorano riciclando continuamente la materia, senza combustioni e senza produzione di rifiuti. Dopo la rivoluzione industriale di 200 anni fa, l’economia di mercato ha notevolmente incrementato tre anomalie, non presenti in natura. La prima è la produzioni di merci con processi lineari, anziché ciclici, ossia, senza riciclo continuo. La seconda è l’utilizzo sempre più intenso delle combustioni, bruciando l’energia fossile. La terza anomalia del capitalismo è il costante aumento di inquinamento e rifiuti, con conseguente spreco di materia e d energia. Tamino ha poi ricordato qual è il vero problema energetico italiano: sostituire le centrali inquinanti – a partire da quelle a carbone, come il mega impianto di Civitavecchia – con fonti rinnovabili, dato che la domanda di punta di energia elettrica italiana è meno di 60.000 megaWatt, a fronte di una potenza installata di oltre 100.000 megaWatt. La combustione di biomasse nei cosiddetti impianti a biogas non ha, però, nessuna caratteristica di sostenibilità o di reale vantaggio ecologico; per averla dovrebbe avere quattro caratteristiche: essere di dimensioni ridotte, non oltre i 100 kiloWatt; utilizzare scarti agricoli, non coltivazioni apposite, come il mais; essere collocato lontano da centri abitati; disporre di sufficiente terreno coltivato per disperdere il “digestato”, il residuo della biomassa contenente batteri potenzialmente patogeni. L’impianto a biogas del Sasso – come la maggior parte degli altri impianti- risponde, invece, ad un’unica finalità: accaparrarsi gli incentivi previsti per questo tipo di strutture. In Italia oggi vi sono già oltre 700 impianti di produzione elettrica a biomasse (solida, liquida, gassosa) e il loro numero è destinato ad aumentare esclusivamente per il fatto che lo Stato dà soldi a chi mette su queste imprese. Il problema sanitario degli impianti a biogas non è secondario. Si tratta, infatti, di piccole centrali che emettono polveri, ossidi di carbonio, ossidi di azoto, ceneri, diossine e altri microinquinanti, in particolare batteri patogeni – come il Botulino – nel digestato che avanza dalla produzione e finisce nel terreno. A tutti questi problemi si aggiungono disagi supplementari per coloro che risiedono nelle vicinanze della centrale: odori, rumorosità da zona industriale, traffico e inquinamento da parte dei camion che devono caricare ciclicamente l’impianto. L’ultimo motivo per dire no al biogas di Cerveteri è che si inserirebbe in un contesto ambientale già fortemente a rischio: la seconda centrale a carbone d’Italia e il più grande polo di energia elettrica europea a Civitavecchia, la discarica di Cupinoro a Bracciano, il paventato raddoppio dell’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, il polo agro-industriale di Maccarese. Abbiamo detto no alla maxi-discarica di Pizzo del Prete, diremo no anche al biogas del Sasso. (12-2012)
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