Pandemia diabetica è evidentemente una forzatura linguistica. Le pandemie, infatti, si riferiscono alle malattie infettive e si verificano quando in più paesi del mondo vi sono trasmissioni prolungate di microrganismi da persona a persona. Il diabete mellito – dal latino mellitus, contenente miele – rappresenta attualmente uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo. La sua diffusione è in costante aumento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e nelle nazioni di recente industrializzazione. Nel 1990, i diabetici erano circa 80 milioni, dopo meno di 20 anni erano il triplo, 240 milioni, di cui 4 milioni in Italia. Possiamo dire che il diabete sta assumendo le caratteristiche di una vera e propria epidemia mondiale: nel 2025 potremmo avere 380 milioni di diabetici nel mondo, quasi il 6% della popolazione mondiale, con l’80% dei nuovi casi nei Paesi emergenti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce due principali forme cliniche: il diabete mellito insulino-dipendente (tipo1) e il diabete mellito non insulino-dipendente (tipo 2). Il diabete insulino-dipendente è una malattia auto-immunitaria: le cellule pancreatiche che producono l’insulina (cellule beta) vengono attaccate e distrutte dal sistema immunitario, lasciando l’organismo privo dell’insulina, ormone indispensabile per l’immagazzinamento del glucosio circolante; il diabete di tipo 1 colpisce soprattutto bambini e giovani e rappresenta circa il 10% di tutti i casi di diabete.

Il diabete non insulino-dipendente, il secondo tipo, è quasi sempre associato a obesità (molti diabetici sono obesi) e costituisce il 90% di tutti i casi di diabete: va decisamente rivista la vecchia dizione di “diabete dell’adulto“, vista la preoccupante sua diffusione tra i giovani, in particolare tra quelli obesi e in sovrappeso. Il diabete di tipo 2 è chiaramente un risultato della nostra società, del nostro modo di vivere. La diffusione del diabete ha iniziato a salire vertiginosamente a partire dagli anni ’60, con i miglioramenti economici che hanno portato a cambiare alimentazione e abitudini, riducendo drasticamente la spesa energetica e aumentando la quota calorica.  Inizialmente l’aumento della malattia ha riguardato il diabete di tipo 2, ma recentemente ha coinvolto anche la meno frequente forma di diabete di tipo 1. In particolare in Sardegna si registrano oltre 50 casi per 100.000 abitanti nella fascia fino a 30 anni, contro i 6-7 del resto dell’Italia; sono valori raggiunti nel mondo solo dalla Finlandia
Una recente ricerca clinica statunitense (DPP, programma di prevenzione del diabete), che ha preso in esame oltre 4.000 soggetti con diabete 2, ha pubblicato i primi importanti risultati dello studio, che si concluderà nel 2014: la riduzione del peso e l’aumento dell’attività fisicasono più efficaci dei farmaci ipoglicemizzanti come la metformina; chi migliora il proprio stile di vita, con più movimento e un po’ di attenzione alla tavola, riduce del 34% il rischio di ammalarsi di diabete 2 (contro il 19% di chi prende solo farmaci antidiabetici), addirittura del 50% se ha un’età maggiore di 60 anni. (11-2013)