Sessualità e antropologia
Secondo Freud, il padre della psicoanalisi, nell’Europa moderna si sarebbe assistito ad un fenomeno molto curioso, ossia la regressione della sessualità con un periodo di latenza, di calma nello sviluppo delle funzioni e dello sviluppo sessuale. Il più grande antropologo del nostro secolo, il polacco Bronislaw Malinowski, confermò le osservazioni di Freud collocando l’inizio del periodo di latenza intorno ai sette anni, ma osservando che ciò valeva solo per alcune classi sociali e non per altre. Tra i contadini, ad esempio – dice Malinowski – i bambini sono al corrente delle cose sessuali sin dalla più tenera età, non potendo evitare di vedere l’attività sessuale dei genitori ed avendo a che fare con animali domestici la cui riproduzione in tutti i suoi particolari riveste grande importanza per tutta la famiglia. In altre società, come quella della Melanesia, le cose sono ancora più complesse. Innanzitutto per i loro bambini le nostre categorie “decente-indecente”, “puro-impuro” non esistono. Sul sesso in generale non esistono tabù – tranne quello universale dell’incesto – i ragazzi girano completamente nudi ed eseguono apertamente e naturalmente le loro funzioni escretorie, dato che non vi sono tabù sulle parti del corpo e sulla nudità. Nella stadio che corrisponde alla fase di latenza, i bambini melanesiani giocano insieme, maschi e femmine, in una specie di repubblica giovanile. Naturalmente non eseguono atti sessuali veri e propri, ma praticano ogni sorta di giochi con i quali soddisfano la loro curiosità e la loro sessualità direttamente, senza finzioni, lasciati completamente liberi dagli adulti, sia dai genitori sia dagli anziani. In questa società, descritta da Malinowski all’inizio del secolo, non esisteva pedofilia, perché le persone che si fossero intrattenute sessualmente con i bambini sarebbero state considerate “ridicole e disgustose”. A proposito del tabù dell’incesto, in questa popolazione fratelli e sorelle iniziano ad evitarsi già nei primi anni di vita e devono lasciare precocemente la casa dei genitori; con l’arrivo della pubertà, il tabù diventa rigorosissimo per mezzo di una speciale istituzione, il bukumatula, una casa speciale abitata da gruppi di adolescenti di entrambi i sessi.
Un altro grande antropologo del novecento, il francese Claude Levi-Strauss soggiornò a lungo, invece, tra gli Indiani Nambikwara, una delle più primitive popolazioni del Mato Grosso, in Brasile. Tra di loro nessuna funzione corporale era soggetta a limitazioni in pubblico: gli uomini urinano in piedi o mentre camminano. Le donne, invece, defecano in gruppo, mentre per gli uomini questa attività è solitaria. Nel loro periodo mestruale alle donne è vietato fare il bagno e mangiare alcuni alimenti; l’isolamento è previsto solo al momento del primo ciclo mestruale. Questa popolazione non ha grande interesse ad avere molti bambini, perché la ricerca alimentare è troppo difficile per permettere di allevare tanti figli insieme. Nel periodo nomade, inoltre, le donne possono portarsi dietro solo un poppante. Molte proibizioni hanno come risultato quello di limitare l’attività sessuale: oltre al tabù dell’incesto, non si deve fare sesso nelle notti di luna e persino dalla nascita del bambino sino al momento in cui può camminare. Nonostante questi divieti, l’atteggiamento generale verso la sessualità è estremamente positivo: tutta la vita quotidiana è impregnata da un’atmosfera erotica e le coppie si abbandonano pubblicamente a giochi amorosi molto spinti. Il piacere ricercato sembra però essere di tipo ludico e sentimentale, più che fisico.
Il terzo esempio di società che sembra meritevole di menzione è quella degli aborigeni australiani Aranda presso i quali visse per un lungo periodo lo psicanalista-antropologo ungherese Geza Roheim. Egli osservò che tra essi esisteva una sola proibizione – il tabù dell’incesto – ma che in tutte le altre dimensione dell’attività umana godevano di una permissività quasi totale. Roheim non trovò nessuna delle moderne proibizioni sessuali, tranne che ai bambini non era concesso osservare i loro genitori durante il rapporto sessuale. “L’Aranda è un uomo felice – scrisse Roheim – poiché la soddisfazione degli istinti dava luogo alla salute psichica”. Lo studioso ungherese non trovò tra i suoi Aranda alcuna traccia d’impotenza o di frigidità né forme di perversioni sessuali: ne concluse che la permissività sessuale fosse la fonte e la misura della felicità umana e che la nostra società, eccessivamente repressiva in materia sessuale, pagasse un prezzo troppo alto per la civiltà. (2007)
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