Dal punto di vista etologico il gioco è un’attività di grande importanza per molte specie animali. Giocare è un’attività complessa, per la quale sono necessari diversi schemi di comportamento, legati alla caccia, alla lotta, alla sessualità.  Nel mondo animale sembrano due le motivazioni che spingono i cuccioli al gioco: da un lato la tendenza ad esplorare, a conoscere nuovi ambienti ed oggetti, dall’altro la motivazione motoria. Nei Vertebrati inferiori – Pesci, Anfibi e Rettili –  non si conoscono forme di comportamento riconducibili al gioco: si può parlare di comportamenti legati al gioco solo per Uccelli e Mammiferi e, in particolare, nei Primati. Il valore biologico del gioco consiste nel suo presentarsi come una vera e propria forma di apprendimento: come i bambini, anche i cuccioli animali giocando imparano a conoscere il proprio corpo e i propri limiti, inventano e perfezionano nuovi schemi motori e comportamentali. Per giocare, però, occorrono due cose: tempo ed energia. Impossibile giocare quando si hanno continuamente, sin dalla nascita, necessità immediate da soddisfare o il rischio di essere aggrediti. Gli animali che accudiscono i piccoli per molto tempo, come i Carnivori ed i Primati, possono soddisfare queste due condizioni ed infatti più degli altri hanno attribuito al gioco un valore per lo sviluppo dei loro cuccioli.

Gregory Bateson (1904 – 1980) è una delle figure scientifiche più importanti di questo secolo. Nato in Inghilterra, biologo, figlio di un grande biologo, ha lasciato il segno in ambito naturalistico e antropologico, nella logica e nella cibernetica, nella sociologia e nella psichiatria.  Tra le tante cose che ricevettero la sua attenzione, il gioco. In uno dei suoi libri più importanti – “Verso un’ecologia della mente” del 1972 – racconta che alla zoo di S. Francisco lo avevano colpito due giovani scimmie: i due primati giocavano, impegnate in qualcosa di simile, ma non identico, a un combattimento. Dato che le scimmie si mordicchiavano senza farsi del male, voleva dire che in qualche modo si erano mandate un messaggio del tipo “questo è un gioco”. Per Bateson l’aspetto interessante della scena cui assisteva era che “il graffio e il morso del gioco” non esprimevano ciò che normalmente esprimono il graffio e il morso. Nel caso del gioco – dice Bateson –  i gesti non sono soltanto se stessi, ma dicono qualche altra cosa: sono il primo passo verso la costruzione di un linguaggio in senso stretto, di un linguaggio come quello umano. In questo modo il gioco – non a caso presente solo nei Carnivori e nei Primati – rappresenta una tappa evolutiva fondamentale, un passo decisivo nello sviluppo dell’intelligenza, come capacità di costruire un linguaggio e quindi di dare un’interpretazione del mondo. Bateson vede nel gioco animale un’altra caratteristica notevole. Prima, però, bisogna brevemente accennare alla distinzione tra messaggio e meta-messaggio: il primo si riferisce a ciò che è contenuto nella comunicazione, il secondo “qualifica” il contenuto, cioè si pone su un piano di astrazione maggiore. Per potersi realizzare, il gioco – dice Bateson – ha bisogno di un meta-messaggio, cioè di qualcosa che comunichi a chi vi partecipa “questo è un gioco”. Altrimenti i giovani scimpanzé – o i leoncini, i gattini, i cagnolini – si aggredirebbero, anziché giocare. I cuccioli delle specie che giocano inviano questa comunicazione mediante dei segnali corporei, ad esempio la diversa forza del morso o del graffio: in effetti, gli animali che giocano non si fanno male. L’importante è che questa diversa forza venga letta come un messaggio di cui ci si può fidare. Secondo Bateson, il gioco rappresenta una fondamentale tappa evolutiva perché introduce la possibilità di riflettere su quello che stiamo comunicando, e di comunicare questa riflessione. (2007)