La storia del tabacco è interessante, perché mette in luce aspetti poco conosciuti dell’industria del fumo (Big-tobacco). Oggi quasi tutti sono consapevoli dei rischi legati al fumo, anche se non tutti sanno che un fumatore medio da 20 sigarette al giorno ha un rischio di cancro al polmone 50 volte maggiore di un non fumatore.

Con l’avvento di trinciati forti –  a cavallo delle due guerre mondiali del ‘900 – le sigarette in pochi anni presero il posto delle pipe e dei sigari. Per diffondere al massimo il loro prodotto fin dall’inizio i produttori di sigarette aggiunsero zucchero al tabacco. Il motivo? Due grandi vantaggi per vendere più pacchetti: da un lato si riduceva l’asprezza del fumo, dall’altro aumentava la quantità di nicotina inalata, con maggior dipendenza dei fumatori. La spinta al consumo di sigarette, inoltre, fu sostenuta dalla pubblicitàdiretta e indiretta – della appena nata televisione e dei film di Hollywood, ma anche dal colpevole silenzio di medici e scienziati, molti dei quali furono messi nel libro paga delle multinazionali del tabacco per dichiarare l’assoluta innocuità delle sigarette. Il risultato fu che alla fine degli anni ’40 otto statunitensi su dieci (l’80%) fumavano; si stavano creando le premesse per una strage silenziosa di proporzioni bibliche. In realtà, qualcuno provò a lanciare l’allarme. Uno studio sulle evidenti correlazioni tra fumo e cancro di Ernst Wynder e Graham (professore all’Università di St. Louis) uscì nel 1950 sul Journal of American Medical Association, l’associazione dei medici USA e, poco dopo, uno studio analogo (autori Doll e Hill) comparve sulla rivista dei medici britannici, il British Medical Journal. Le potentissime lobby di Big-tobacco riuscirono, però, a insabbiare tutto, negando la possibilità che il fumo di sigaretta provocasse il cancro nell’uomo, come avveniva nei topi. Il risultato fu che negli anni ‘50 i fumatori degli Stati Uniti aumentarono ulteriormente del 20%, mentre i medici facevano pubblicità alle diverse marche di sigarette, come si vede nella foto sopra. A metà anni ‘60, nel 1964, il massimo responsabile della salute pubblica degli Stati Uniti riprese il discorso sul rapporto evidente tra fumo e tumori. Alcuni stati allora finalmente iniziarono a limitare le sigarette con apposite legislazioni, ma l’associazione dei medici continuò a non prendere posizione contro il fumo; qualche anno dopo – nel 1973 – uscì addirittura un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, favorevole al fumo in gravidanza.

Alla fine degli anni ’70 – quasi 30 anni dopo gli studi di Wynder e Graham – i medici USA si sono dichiarati ufficialmente contro il fumo. Un recente studio dell’Università di Yale ha valutato in 8 milioni le morti premature evitate dal 1964 ad oggi grazie alle leggi antifumo dei singoli stati degli Stati Uniti, ma avrebbero potuto essere molte di più con campagne pubbliche, sostenute da medici e scienziati. Dal 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità non assume più nuovi dipendenti consumatori di tabacco. (4-2013)