La storia ambientale è una disciplina relativamente recente, ma tra le più interessanti, per il suo sforzo di una visione complessiva delle vicende umane nella loro interconnessione tra aspetti biologici e storici; in senso ampio è  lo studio del rapporto tra la storia delle società umane (nei loro aspetti demografici, economici, politici e culturali) e i mutamenti nel tempo dell’ambiente fisico (climatico, geografico, biologico epidemiologico), nonché delle loro influenze reciproche in entrambe le direzioni. Insieme alle opere di Alfred Crosby (L’imperialismo ecologico, Lo scambio colombiano) e di Jared Diamond (Armi, acciaio, malattie, Collasso), possiamo collocare L’aratro, la peste, il petrolio. L’impatto umano sul clima del paleo-climatologo statunitense William Ruddiman. La tesi del libro è che le attività umane abbiano iniziato ad influenzare il clima terrestre molto prima delle rivoluzioni industriali. Ruddiman inizia la sua indagine dal ritrovamento di alcune carote di ghiaccio di ghiaccio antartiche con le tracce evidenti di un aumento della concentrazione di metano già 5.000 anni fa; la spiegazione di tale fenomeno è da attribuirsi per Ruddiman alle coltivazioni di riso in ampie zone delle pianure del sud est asiatico: sotto lo strato d’acqua necessario la vegetazione marciva e rilasciava il metano che si accumulava nell’atmosfera. Anche per l’altro gas serra, l’anidride carbonica, Ruddiman chiama in causa l’agricoltura nascente. Gli estesi disboscamenti, con incendi provocati dall’uomo per far posto alle coltivazioni, hanno condotto ad un’inattesa inversione nella diminuzione della concentrazione di anidride carbonica, che ha cominciato a innalzarsi proprio 8.000 anni fa. Ma l’uomo non ha influito sul clima solo con le attività agricole (l’aratro del titolo) , anche le epidemie (la peste del titolo) hanno avuto un ruolo significativo; non può essere casuale che i periodi in cui  negli ultimi 10.000 anni l’anidride carbonica è calata  coincidano con le grandi pandemie del passato: la peste bubbonica del VI secolo che uccise il 25% della popolazione, la peste del 1300 (quella  di cui parla Boccaccio nel Decameron) che fece il 40% di vittime e quella del 1500 in America, dopo la brutale conquista europea, che sterminò oltre il 90% dei nativi americani (descritto in Olocausto americano di David E. Stannard). Dalla somma delle attività agricole e delle pandemie ricorrenti Ruddiman calcola che, da 8.000 a 200 anni fa, l’uomo potrebbe aver determinato un aumento della temperatura media di 0,8°C, senza il quale probabilmente la Terra sarebbe entrata in una nuova epoca glaciale.          Il terzo riferimento del titolo – il petrolio – si riferisce agli ultimi 200 anni della Rivoluzione industriale che. secondo molti scienziati, ci hanno fatto entrare in una nuova era geologica, chiamata Antropocene. Il termine è stato ideato negli anni ottanta dal biologo statunitense Eugene F. Stoermer e adottato successivamente dal chimico olandese Paul Crutzen, Nobel per la chimica nel 1995 per i suoi studi sull’atmosfera. Nel suo libro del 2000 Benvenuti nell’Antropocene Crutzen attribuisce alle attività dell’umanità negli ultimi due secoli le principali modifiche territoriali, strutturali e climatiche del pianeta. Ruddiman conferma l’ipotesi di Crutzen, ricordandoci che in questo periodo di tempo così limitato le attività umane hanno aumentato i livelli di metano pari a 4 volte quelli degli 8.000 anni precedenti e i livelli dell’anidride carbonica di due volte e mezzo L’aumento della temperatura è stato, però, di soli 0,6°C, per il ritardo con cui il clima reagisce all’incremento dei gas serra. Il 50% dell’effetto dei gas già immessi nell’atmosfera, purtroppo, lo vedremo nei prossimi 50 anni e non sarà un bello spettacolo. (2-2009)