Il liberismo – da Adam Smith a Milton Friedman (il Premio Nobel consulente di Pinochet) – ha sempre sostenuto che il mercato deve essere lasciato libero di agire e che l’intervento dello Stato deve essere ridotto al minimo necessario per l’attività del mercato. La scuola e l’università, ma più in generale la cultura e la formazione delle giovani generazioni sono al centro delle politiche dell’attuale governo di ispirazione liberista. Riportiamo tre opinioni critiche, di un economista, di un politico atipico, di uno scrittore-insegnante.
L’economista Luigino Bruni insegna all’Università Bicocca di Milano. La rivista Nuovo consumo lo ha intervistato questa estate chiedendogli un’opinione sulla crisi italiana e sulle strategie per uscirne.  Bruni ha sottolineato un aspetto quasi antropologico dell’attuale modello economico liberista. “L’etica del capitalismo globalizzato – secondo l’economista –  è l’immunitas, nel senso di distacco, di non entrare in rapporto, perché il legame con l’altro è pericoloso.” Il capitalismo finanziario che ci ha portato alla crisi attuale propone – secondo Bruni – “l’etica della libera indifferenza”. La risposta consiste nel “riuscire a reinventare rapporti umani che non siano basati sull’indifferenza, un saper stare insieme anche fra diversi, un nuovo modello di vita comune”. Per l’economista non si può che ripartire dalla scuola, dall’educazione. “La cosa più importante è aprire una grande stagione educativa. Dobbiamo investire nella scuola, mettervi le persone migliori”.  I bambini – gli adulti di domani –  stanno perdendo la capacità di cooperare, di giocare insieme, essendo abituati fin da piccoli a vivere in una dimensione isolata, quasi autistica tanto è radicata la cultura dell’individualismo e del liberismo diffusa attraverso la televisione. L’invito finale di Bruni è, pertanto, a “rilanciare una grande scuola comunitaria, una scuola pubblica e per tutti, con bravi docenti”.

Nichi Vendola è il presidente della regione Puglia ed il leader di Sinistra Ecologia Libertà; in una intervista andata in onda a maggio su La7 ha criticato l’idea dominante per la quale la crisi economica può essere affrontata tagliando il Welfare e la cultura. Ridurre i fondi destinati all’innovazione, alla ricerca, all’università, alla scuola e alla sanità – per Vendola –  è un idea malata e controproducente: “la cultura fa crescere l’intelligenza in generale e la nostra economia ha bisogno di più intelligenza, di più valore aggiunto, di più innovazione”.  “Una società povera di cultura – ha concluso Vendola – una società regredita, una società segnata da un analfabetismo di ritorno imboccherà non la via del futuro ma un vicolo cieco, una regressione tribale”.

Il terzo intervento critico è quella di Marco Lodoli, scrittore di successo ma anche insegnante di “borgata” nella periferia romana. Commentando le non eccellenti prestazioni degli atleti italiani ai recenti campionati europei di Barcellona, Lodoli ha ricordato che lo sport, per tradizione, dovrebbe essere di destra, mentre la sinistra – in questa visione stereotipata – avrebbe il monopolio della cultura; perché allora – si domanda lo scrittore – il governo di centro-destra non investe di più nello sport? Lodoli racconta di aver insegnato in tante scuole con “palestre indecenti, senza attrezzi, cameroni gelidi e scrostati dove nessuno zompava e correva con entusiasmo”.  L’invito dello scrittore racchiude in modo efficace tutto il valore formativo e socializzante – quindi culturale in senso ampio – dello sport e dell’attività fisica. “Credo che il benessere fisico, al di là dei risultati nel medagliere olimpico, sia un obiettivo che ogni governo dovrebbe prefissarsi, cominciando dalle scuole elementari, dalle medie, dalle superiori, educando i ragazzi allo sforzo e alla gioia del sudore, alla gara, che si vinca o si perda, all’armonia di una squadra o alla tensione ripetuta di un allenamento individuale” (2009)