Bollati Boringhieri Editore, una delle migliori case editrici italiane, ha finalmente pubblicato un lavoro poco conosciuto di Ivan Illich, filosofo e antropologo austriaco deceduto nel 2002. “Elogio della bicicletta” è stato scritto nel 1973, in piena crisi energetica quindi. Per Illich tutto ha avuto inizio con un’invenzione della seconda metà dell’Ottocento: il cuscinetto a sfera. Con esso diventano possibili, in contemporanea, tanto l’automobile quanto la bicicletta. La società si trova davanti a un bivio di portata storica: da una parte il mondo della bicicletta, legato – dice Illich –  a una maggiore libertà nell’equità, dall’altra l’illusione di una maggiore velocità progressivamente paralizzante: il mondo dell’automobile. “L’auto –scrive Illich – è oggi il disprezzo del mondo là fuori, il poterne chiaramente fare a meno“. Illich sfata anche il luogo comune del progressivo aumento della velocità di spostamento nel corso dei secoli. La velocità dell’uomo, infatti, è rimasta sostanzialmente invariata dall’età di Ciro il Grande, fondatore dell’impero persiano, nel VI secolo a.C. – fino a quella del vapore. “Con qualunque mezzo venisse portato il messaggio, le notizie non potevano viaggiare a più di 170 chilometri al giorno. Né i corrieri inca, né le galee veneziane, né i cavalieri persiani, né i servizi di diligenza istituiti sotto Luigi XIV superarono mai questa barriera. I soldati, gli esploratori, i mercanti, i pellegrini percorrevano al massimo trenta chilometri al giorno” Illich conclude il suo elogio della bicicletta con queste parole: “La bicicletta ha ampliato il raggio d’azione dell’uomo senza smistarlo su strade non percorribili a piedi. Dove egli non può inforcare la sua bici, può di solito spingerla. Inoltre la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare 18 al posto di un’auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un’unica vettura. Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti”.
Da Ivan Illich a Marc Augè. Dall’elogio della bicicletta a “Il bello della bicicletta” (sempre per Bollati Editore): “E impossibile parlare del bello della bicicletta senza parlare di sé. La bicicletta fa parte della storia di ognuno di noi. E’ così che abbiamo scoperto un po’ del nostro corpo, delle nostre capacità, e abbiamo sperimentato la libertà legata a queste scoperte.” Inizia con queste parole il bell’opuscolo dell’antropologo francese Marc Augè, uscito pochi mesi fa. Lo studioso ricorda i tempi della sua giovinezza quando la bici era “strumento indispensabile per i più poveri” ma anche “simbolo di sogno ed evasione”. Andare in bicicletta per Augè ha significato “imparare a gestire il tempo” e, soprattutto, oggi egli vede nel ciclismo amatoriale e del tempo libero un’occasione di solidarietà attiva e di confronto tra generazioni. Augè esalta le possibilità socializzanti dell’andare insieme in bici, “legami sociali gradevoli, leggeri, eventualmente effimeri, ma sempre portatori di una certa gioia di vivere”. E conclude il suo lavoro con un’esortazione che ci sentiamo di girare a tutti gli amministratori locali e a tutti i politicanti che, spostandosi in macchina, credono di conoscere le loro città, i loro quartieri, le loro campagne:”La trasformazione della città è un sogno possibile? E la bicicletta può avere un ruolo in tutto questo? Perché la città avrebbe bisogno di una rivoluzione, nel senso letterale del termine, per trasformarsi”. (2009)