Nelle scienze ambientali ed economiche, la sostenibilità è la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Le nostre scelte alimentari hanno un peso sempre maggiore nella nostra responsabilità nei confronti di chi verrà dopo di noi. Con un’alimentazione sana, infatti, possiamo migliorare la nostra salute e il nostro benessere, ma contribuiamo anche alla salute e al benessere dell’ambiente. La piramide alimentare è un modo semplice e diretto di raffigurare un modello di nutrizione corretta in cui si mangiano quantità differenti di tutti i prodotti alimentari. Alla base della piramide frutta e verdura – preferibilmente di stagione e di filiera corta – pane, pasta e cereali, insieme a legumi e olio d’oliva. A metà piramide latte e latticini, carni bianche, uova e pesce: tutti alimenti da consumare con moderazione. In cime alla piramide carne rossa e dolciumi, veri e propri lussi da limitare a poche occasioni
La piramide alimentare è basata sostanzialmente sulla dieta mediterranea, il modello alimentare del Centro-sud italiano degli anni Cinquanta. Anche se la dieta mediterranea è sempre più insidiata dai modelli alimentari nord-americani basati su carne e “cibo spazzatura” dei fast-food (Coca Cola, hamburger, patatine fritte), sembra ancora preservarci – ma per quanto? – da molti problemi legati a un’alimentazione scorretta e squilibrata. Il modello nord-americano (non solo Stati Uniti, ma anche Messico e Canada) sta portando la popolazione a pandemie di ipertensione, diabete e obesità (le tipiche malattie del benessere) e la spesa sanitaria sta diventando insostenibile. Anche Paesi come Cina e India sono ormai avviate sulla nostra strada: meno cibi vegetali, più carne e calorie, meno attività fisica, più malattie cronico-degenerative, spesa sanitaria alle stelle.
Un altro motivo per cui appare insensato abbandonare la dieta mediterranea è la sua sostenibilità ambientale. Frutta, ortaggi e cereali hanno un impatto ecologico molto minore della carne. La produzione di carni bovine, la base dei piatti dei fast-food, ha in particolare un enorme impatto ambientale. Come da anni sostiene Jeremy Rifkin  (Ecocidio, 1992), bisogna andare “oltre la civiltà della carne”. I dati che Rifkin e altri studiosi riportano dovrebbero farci riflettere.  Viviamo in un mondo popolato daun miliardo di bovini, un’immensa mandria che occupa quasi un quarto (il 24 %) della superficie della Terra e che consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone; il 70 % dei cereali prodotti negli Stati Uniti viene utilizzato per l’alimentazione animale e le multinazionali incoraggiano i Paesi del Terzo mondo alla conversione dell’agricoltura a cereali per il nutrimento dei manzi dei paesi ricchi.  Rifkin descrive con queste parole le profonde conseguenze del nostro modello di vita sull’ecologia, sulle altre comunità umane e sulle nostre esistenze: “Lasciare intendere che un individuo sta facendo del male coltivando cereali destinati all’alimentazione animale o consumando un hamburger, può sembrare strano, perfino perverso, a molti. È probabile che il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si senta responsabile del dolore e della brutalità patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta tecnologia. L’effetto sull’uomo e sull’ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. Dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche. Abbiamo sostituito meccanismi a organismi, utilitarismo a spiritualità, standard di mercato a valori civili, trasformandoci da esseri in risorse. (6-2009)