DSM-5 e malattia mentale
DSM-5 è la sigla che sta per Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders; si tratta della quinta edizione di un’opera monumentale dell’Associazione degli psichiatri statunitensi (APA), che è stata pubblicata negli USA nel maggio scorso. In occasione dell’imminente uscita dell’edizione italiana, si è svolta a Roma, in una sala della Regione Lazio, un incontro rivolto agli operatori delle tossicodipendenze per la presentazionedell’opera. Massimo Biondi – uno dei curatori della traduzione italiana – ha illustrato la filosofia di base del nuovo DSM-5, che sostituisce il DSM-IV del 1994 e la sua revisione del 2000 (DSM-IV-TR), ribadendo quello che non è – e non deve essere – il manuale, ossia uno strumento per fare diagnosi psichiatriche: il DSM-5, come i precedenti, dovrebbe essere soprattutto uno strumento epidemiologico e statistico, per confrontare diagnosi effettuate in ambito clinico con altri strumenti; il professore ha sottolineato sia gli elementi di continuità sia le novità; tra i primi il mantenimento dell’approccio nosografico (che esclude i vissuti personali), a-teorico (solo descrizioni e nessun riferimento esplicito alle grandi teorie, come la psicoanalisi), statistico (con liste di sintomi) e categoriale (con categorie strutturate come entità discrete, o dentro o fuori); tra i cambiamenti eclatanti il più importante sembra certamente l’abbandono del sistema multi-assiale. Nel precedente DSM-IV ogni paziente veniva valutato in base a cinque assi indipendenti e paralleli tra loro; nell’Asse I venivano considerati eventuali disturbi clinici (come schizofrenia, depressione); nell’Asse II eventuali disturbi di personalità; nell’Asse III le condizioni mediche generali, non psichiatriche, che potevano influenzare il disturbo mentale; nell’Asse IV i problemi psicosociali e ambientali (come lutti o perdite del lavoro); nell’Asse V, infine, si esprimeva una valutazione globale di funzionamento.
La critica più pesante al nuovo DSM-5 l’ha formulata il professor Allen Frances, che aveva guidato gli psichiatri redattori del DSM-IV; Frances ha ricordato la tendenza della psichiatria contemporanea a far passare molte difficoltà della vita per malattie mentali da trattare farmacologicamente. Anche il DSM-5 – come i precedenti DSM – verosimilmente porterà ad un’esplosione di nuove diagnosi e a una medicalizzazione in massa della normalità, secondo gli auspici dell’industria farmaceutica. Allen Frances ha fatto un elenco delle diagnosi del DSM-5 che si inseriranno in questa tendenza; con il nuovo Disturbo di disregolazione dirompente dell’umore impeti di rabbia potranno diventare un disturbo mentale; nel Disturbo neuro-cognitivo minore si rischierà di dare valenza psichiatrica alle normali dimenticanze e debolezze cognitive della vecchiaia, mentre l’inevitabile abbassamento dell’umore associato al lutto potrebbe diventare Depressione maggiore, con inevitabili farmaci inutili; chi si abbufferà di cibo almeno 12 volte a trimestre sarà incasellabile nel Binge Eating Disorder (Disturbo da alimentazione incontrollata); chi farà abuso per la prima volta di droghe finirà nella stessa categoria diagnostica dei tossicodipendenti di lunga data; con l’introduzione del concetto di dipendenze comportamentali si creano le premesse per un uso poco appropriato di diagnosi di dipendenza da Internet o dal sesso. Nella prefazione al suo libro (Primo, non curare chi è normale per Bollati Boringhieri, 2013) Frances riconosce il clamoroso abbaglio di quanti come lui hanno completato il DSM-IV. Illudendosi di aver fatto un buon lavoro e aver limitato il numero sempre crescente di diagnosi psichiatriche, in realtà negli USA sono raddoppiate le diagnosi di disturbo bipolare, triplicate quelle di ADHD, aumentate di quaranta volte quelle di autismo. Tre epidemie – le chiama così Frances – causate dal non aver previsto quanto fossero potenti le case farmaceutiche (big-pharma), le quali tre anni dopo la pubblicazione del DSM-IV hanno ottenuto il diritto di fare pubblicità diretta presso i consumatori, con una fortissima spinta alla vendita dei farmaci. Si è fatto credere che ogni disturbo mentale abbia a che fare con uno scompenso chimico e che la cura sia prendere una pillola per tutta la vita. In futuro – conclude Frances – ci saranno sempre più persone che riceveranno diagnosi di cui non hanno bisogno e trattamenti che probabilmente faranno loro più male che bene. (3-2014)
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