Invecchiamento e aspettativa di vita sono temi sempre più al centro del dibattito. Non ci sono dubbi sul fatto che nel corso della storia l’aspettativa di vita – ossia gli anni che una persona può sperare di vivere – sia notevolmente aumentata. Viene poco sottolineato, però, che il valore dell’aspettativa di vita è soltanto una media matematica, notevolmente influenzata dalla percentuale di bambini che nascono morti o muoiono nei primi anni di vita.  Quando si legge che l’aspettativa di vita dell’antica Roma si aggirava intorno ai 25 anni, dobbiamo immaginare che per ogni 4 persone nate 3 morivano nel corso del primo anno (in termini tecnici: un tasso di mortalità infantile del 75%); analogamente agli inizi del Novecento l’aspettativa di vita era di poco inferiore ai 50 anni, poiché moriva il 50% dei neonati o dei bambini.

La maggior parte dei Paesi occidentali presenta oggi tassi di mortalità infantile molto bassi; Afghanistan e Somalia, due Paesi martoriati da bombardamenti esterni e da lunghissime guerre civili, hanno oggi il peggior tasso di mortalità infantile nel mondo; in quei due stati ogni 1000 bambini 10 muoiono nel primo anno di vita; si tratta di un dato impressionante, se rapportato al Giappone dove muoiono 2 bambini su 1000, ma è comunque un tasso di mortalità del 10%, mai realizzatosi nelle società del passato. Nel 2012 l’ONU ha presentato i World Population Prospects, da cui risulta che la media mondiale della mortalità infantile, nel periodo 2000-2005, è stata del 5,6%: 40  anni prima, nel periodo 1965-1970, la media era 10,4%, il doppio; guardando alle medie delle macro-regioni mondiali, vediamo in Africa circa il 9%, in Asia circa il 5%  (con l’enorme divario tra i due colossi demografici, 1,6 %  per la Cina, quasi 5%  per l’India), in Sud America e nei Caraibi circa il 3% (con Cuba allo 0,5 % e Brasile al  2%, il quadruplo), nei Paesi occidentali lo 0.8%  (dal 1,6%  della Bulgaria allo 0,3% dell’Italia). Questi dati – sia pure con le differenze marcate tra un Paese e l’altro – sono il risultato del miglioramento delle condizioni igieniche ambientali del Novecento. L’innalzamento delle condizioni di vita e il conseguente miglioramento nella nutrizione da un lato, la diffusione di saponi, detersive e disinfettanti dall’altro, hanno drasticamente ridotto le infezioni dei microorganismi; i bambini hanno smesso di morire prematuramente, l’aspettativa di vita è velocemente cresciuta. Il miglioramento dell’igiene è responsabile anche di una altro aspetto dell’attuale speranza di vita; per la prima volta nella storia, nel Novecento l’aspettativa di vita delle donne  ha superato quella degli uomini e oggi nei Paesi occidentali è stabilmente 4-5 anni superiore; nel passato, nonostante le continue guerre che decimavano la popolazione maschile impegnata nei combattimenti, le donne morivano prematuramente in misura maggiore per quella guerra privata che era il parto, un evento che si ripeteva allora 5, 6, 10 volte e sempre – per qualsiasi classe sociale – in condizioni igieniche spaventose.

Da tutto questo emerge che la corretta lettura delle diverse aspettative di vita nel corso dei secoli è questa: le nostre società fanno vivere a lungo molte più persone rispetto al passato. Nel passato – come testimoniano i documenti, i quadri, la letteratura – si invecchiava come nei tempi attuali, ma l’invecchiamento era una specie di privilegio, vista l’elevata frequenza con cui si moriva precocemente. Nei secoli precedenti chi arrivava alla terza ed alla quarta età, lo faceva solo con le proprie forze, senza tutto il formidabile aiuto di farmaci, terapie e strumenti diagnostici di oggi. Se potessimo ricostruire un grafico con la speranza di anni di vita in salute – ossia degli anni da vivere senza malattie – nel corso del tempo, probabilmente vedremmo che oggi non si vive molto meglio del passato, si vive semplicemente di più. La maggior parte della medicina e tutta l’industria farmaceutica ragionano esclusivamente in termini di quantità: vivere – a volte, letteralmente, sopravvivere – il più a lungo possibile; sembra completamente estraneo il concetto di qualità della vita. Ma per noi che cos’è più importante, sapere quanti anni in più vivremo o come saranno questi anni in più? L’attuale sistema socio-sanitario, basato solo su farmaci e cure, ci sta allungando la vita o ci sta allontanando la morte? (nella foto una citazione di Martin Luther KIng “Ciò che conta è la qualità di una vita, non la sua lunghezza”)