Medaglieri olimpici e politica
Medaglieri olimpici e politica. “La politica come prosecuzione della guerra con altri mezzi” del barone Carl von Clausewitz può essere applicata allo sport del ‘900 sostituendo alla politica lo sport olimpico. Negli anni della “Guerra fredda,”, infatti, i medaglieri olimpici sono stati utilizzati come espressione della potenza politica dei Paesi del “socialismo reale” legati all’Unione Sovietica nei confronti dell’Occidente. Oggi, con la fine della contrapposizione Est-Ovest e con l’emergenza della potenza economica della Cina, i successi sportivi olimpici sembrano riflettere la regola generale secondo cui anche nello sport primeggiano i Paesi con più risorse e più popolazione, per la disponibilità sia di molti atleti potenziali sia di strutture e soldi per la preparazione dei campioni. Se guardiamo il medagliere delle Olimpiadi di Rio, vediamo in effetti ai primi 10 posti una sorta di G10 con Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Russia, Germania, Giappone, Francia, Corea del Sud, Italia e Australia; tra le grandi potenze economiche manca l’India, che ha quasi 1,3 miliardi di abitanti ma ha conquistato solo due medaglie a Rio, confermando una tendenza storica (26 medaglie – 9 d’oro – in 27 partecipazioni). Lo scarsissimo peso nelle discipline sportive olimpiche dell’India ha evidentemente spiegazioni complesse, tra cui l’apparente assenza di una cultura sportiva diffusa, ma in realtà gli Indiani non sono così insensibili alle attività sportive; il problema è che vengono praticati sport non presenti tra le discipline olimpiche (cricket e kabaddi, sport di contatto a squadre a metà tra rugby e wrestling) o che danno al massimo 2 medaglia (hockey su prato maschile e femminile) o attività – come yoga e scacchi, entrambi originari dell’India – non considerate di tipo sportivo. Lo sport moderno è di fatto un’invenzione occidentale, soprattutto inglese, come le stesse Olimpiadi moderne. Questo è il primo motivo che spiega il tradizionale primeggiare dei Paesi occidentali nei medaglieri olimpici. Se, però, dagli sport olimpici passiamo agli sport di squadra più diffusi al mondo, le cose cambiano notevolmente; nelle classifiche e nei ranking troviamo molti Paesi che sono al di fuori del Gotha olimpico; nel calcio maschile, ad esempio, troviamo ai vertici mondiali Paesi come Brasile, Argentina, Uruguay, Croazia, Portogallo e Belgio; nel calcio femminile Olanda e Svezia; nel volley femminile Serbia, Brasile e Olanda; nel volley maschile Polonia, Brasile e Iran; nel basket maschile Argentina, Serbia, Grecia e Lituania; nella pallanuoto i paesi della ex Jugoslavia; nel rugby Galles, Irlanda, Nuova Zelanda e Sudafrica; nel baseball Cuba, Taiwan, Venezuela e Messico e l’elenco potrebbe continuare. Dov’è, allora, la cultura sportiva di un Paese? Solo nei medaglieri olimpici o anche nei grandi e diffusi sport di massa, di squadra o individuali? Se prendiamo il caso della Gran Bretagna (seconda nel medagliere di Rio con 27 ori e 67 medaglie totali, dopo il terzo posto delle Olimpiadi di Londra), vediamo che a partire dagli anni ’30 gli atleti inglesi hanno sempre vinto molte meno medaglie di Italia, Francia e Germania, con il picco negativo di Atlanta nel 1996 (un solo oro e 38° posto nel medagliere finale). L’inversione di tendenza è arrivata nel 2008 in vista della terza Olimpiade casalinga prevista per il 2012. Il governo inglese ha deciso di investire grandi risorse economiche quasi esclusivamente nelle discipline che assicurano più medaglie olimpiche – atletica, pugilato o ciclismo – lasciando le briciole a sport come pallavolo, basket e pallamano in cui l’Inghilterra non ha alcun peso sportivo. Questa modalità di gestione dello sport è stato da molti paragonata a quello dell’Unione Sovietica e dei Paesi socialisti che, fra gli anni Settanta e Ottanta, avevano allestito un sistema – fatto anche di doping di stato – per ottenere il primato nei medaglieri olimpici. A questo proposito va ricordato che anche nella Germania Ovest molti atleti olimpici ricorsero al doping in maniera sistematica a partire dagli anni ’70, come emerge dallo studio di 800 pagine della Humboldt-Universitat di Berlino (“Doping in Germania dal 1950 a oggi”). Esperimenti con anabolizzanti, testosterone, estrogeni ed EPO furono finanziati con fondi pubblici tramite l’Istituto Federale per le Scienze dello Sport, creato nel 1970 e alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Il doping fu impiegato anche nel calcio, in particolare nella finale del Mondiale del 1954 a Berna, vinta sulla favorita Ungheria, anche grazie alle iniezioni di metamfetamina (pervitina) ai giocatori tedeschi. In conclusione, nello sport olimpico di alto livello conta solo vincere. Non se ne abbia il barone De Coubertin, ma arrivare ottavi (cioè entrare in una finale) o arrivare quarti (fuori dal podio) non conta niente. Con questa concezione dello sport, però, i finanziamenti privilegiati alle discipline olimpiche che danno più medaglie – a scapito delle attività motorie e sportive più diffuse – e il ricorso a pratiche dopanti saranno sempre più il modello da seguire. (nella foto la premiazione della squadra indiana di kabbadi dei Patna Pirates)
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