Biologia dell’invecchiamento (1)
Biologia dell’invecchiamento, ovvero provare a capire perché siamo una delle poche specie che ha il privilegio della senescenza. In tanti – da almeno mezzo secolo – hano cercato di spiegare il significato evolutivo del rimanere a lungo in vita dopo l’età riproduttiva. Qualcuno ha contato oltre 300 ipotesi sull’invecchiamento. Vediamo le più significative.
La biologia moderna esiste grazie a Darwin e alla sua teoria dell’evoluzione. L’evoluzione di una specie, attraverso la selezione naturale, può verificarsi soltanto se c’è un rinnovo delle generazioni. Soltanto con la riproduzione appaiono nuove combinazioni di geni, che danno nuove caratteristiche ad un individuo che può così essere meglio adattato all’ambiente che cambia. Con l’invecchiamento si rinnovano le generazioni, gli individui più vecchi lasciano il posto ai più giovani. Si invecchia per il bene della specie, non per ragioni legate all’individuo (ipotesi biologica). Tra gli animali in alcune specie l’invecchiamento dell’individuo praticamente è inesistente, in altre è possibile, ma raramente raggiunto, per gli attacchi dei predatori. Fra gli animali superiori l’invecchiamento è limitato a poche specie, fra cui l’uomo, le specie addomesticabili o che vivono in cattività, e quelle che nel loro ambiente non hanno predatori. Alcuni esempi di longevità animale, in rapporto a quella della nostra specie: la capra può raggiungere i 18 anni, il gatto 21, il leone 29, il bue 30, il cane 34, il piccione 35, lo scimpanzé 37; tra le specie più longeve, l’alligatore arriva a 56 anni, l’elefante a 57, il cavallo a 62, l’uomo a 90, ma non è la specie più longeva: la tartaruga gigante può superare i 170 anni. Nelle nostra società, inoltre, le donne vivono in media alcuni anni più dei maschi.
La prima ipotesi genetica sull’invecchiamento risale ai primi anni’60. Per l’ipotesi del conto alla rovescia (L. Hayflick, 1961) tutte le cellule – con l’eccezione di quelle tumorali – dispongono di una sorta di timer che scandisce un “conto alla rovescia” fino alla morte ; il numero di volte che una cellula può replicarsi – numero di Hayflick – dipende dalla specie di appartenenza; l’autore dell’ipotesi, il biologo Leonard Hayflick, non individuò la struttura della cellula responsabile del conto alla rovescia; oggi l’altra ipotesi genetica, quella dei telomeri, sembra accordarsi all’intuizione di Hayflick; i telomeri, sempre più studiati nei laboratori di genetica, sono i pezzi di DNA posti alla fine dei cromosomi; sembra certo ormai che il progressivo accorciamento dei telomeri ad ogni replicazione della cellula sia associato all’invecchiamento cellulare; secondo questa ipotesi (ipotesi dei telomeri) essi agirebbero come una specie di orologio biologico, che permette un numero massimo di mitosi (e di replicazioni del DNA), al termine del quale la cellula attiverebbe il “suicidio programmato” (apoptosi).
Assieme alle ipotesi genetiche, nel corso degli anni sono comparse ipotesi biochimiche sulla senescenza. Secondo l’ipotesi dei prodotti di rifiuto, nel metabolismo cellulare si formano continuamente prodotti di scarto, inutilizzabili (come la lipofuscina), che la cellula non sarebbe in grado di eliminare; l’accumulo di queste sostanze porterebbe alla progressiva compromissione delle funzionalità vitali. Nell’ipotesi dell’usura responsabili dell’invecchiamento potrebbero essere diversi fattori ambientali come luce e raggi solari, temperatura e umidità, contenuti minerali di acque e alimenti, radiazioni atmosferiche ed elettromagnetiche. La più accreditata ipotesi biochimica è, però, la terza, quella conosciuta come l’ipotesi dei radicali liberi, formulata nel 1954 dal bio-gerontologo statunitense Denham Harman; i radicali liberi sono molecole o atomi con vita media brevissima; la presenza di un elettrone spaiato, li rende assai reattivi, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre molecole vicine, provocando alla fine reazioni chimiche dannose soprattutto sui grassi delle membrane cellulari e sulle proteine del nucleo; i radicali liberi si formano sia nei processi energetici sia nei processi di difesa dell’organismo; ma il loro numero aumenta anche quando siamo sottoposti a forme eccessive di stress (fumo, alcool, dieta sbagliata, inquinamento, uso o abuso di farmaci, stress psico-fisico); Harman fu fra i primi scienziati a capire che i radicali liberi, e il conseguente stress ossidativo, si accumulano negli anni creando una forte azione ossidante, responsabile di un invecchiamento più veloce e dannoso in quasi tutti i componenti dell’organismo. (segue)
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