Guerre dell’oppio
L’oppio è una droga stupefacente che si ottiene dal succo del Papaver somniferum album (papavero sonnifero). L’uso dell’oppio è presente in molte civiltà antiche; lo conoscevano i Sumeri, gli Egiziani, i Greci ed i Romani. L’oppio era conosciuto e coltivato anche in Cina, prima dell’anno mille; Zheng Yangwen nella sua Storia sociale dell’oppio (Utet) racconta tre diversi utilizzi della pianta che si sono succeduti nel tempo. All’inizio – per molti secoli – l’oppio fu solo considerato uno dei tanti medicinali erboristici utili per combattere diverse affezioni, in particolare la dissenteria, la tosse e l’asma. La prima trasformazione si verificò, quando da medicinale l’oppio diventò “pozione di primavera” in grado di stimolare il desiderio sessuale e controllare l’eiaculazione. L’oppio si diffuse tra i membri della corte imperiale e le persone ricche, tra i letterati e gli ufficiali. La seconda trasformazione avvenne nel ‘700: il consumo di oppio si allargò a una cerchia piuttosto estesa di consumatori. Nel 1683 la dinastia Qing – al potere da oltre due secoli – mandò l’esercito ad occupare l’isola di Taiwan dove il consumo di oppio era piuttosto frequente; dalle fumerie dall’isola l’oppio si diffuse ulteriormente nell’impero. Un ruolo centrale nella diffusione dell’oppio lo ebbero gli Inglesi che lo ritenevano una merce come le altre e una potenziale enorme fonte di guadagno, nel momento in cui avessero potuto esportarlo liberamente. In Inghilterra, con la Rivoluzione industriale, l’oppio aveva iniziato ad essere prodotto su larga scala, grazie alle grandi piantagioni dell’India; veniva venduto, a Londra, a prezzi più bassi di quelli della birra e dell’alcool con effetti disastrosi nella classe operaia che aggiunse un esercito di oppiomani all’epidemia di alcolismo già presente. Ma l’oppio – o la sua variante del laudano – non era solo appannaggio degli operai: lo usavano intellettuali e artisti inglesi come George Byron, Walter Scott, Charles Dickens, Samuel Coleridge e Thomas De Quincey (autore del racconto autobiografico “Le confessioni di un mangiatore d’oppio”). La produzione ed il commercio dell’oppio era gestito dalla Compagnia delle Indie Orientali, che aveva il monopolio sulla raccolta in India; migliaia di lavoratori erano impiegati nella raccolta e nella produzione; dai mercati di Calcutta e Bombay la merce era poi trasportata in Cina via mare. La diffusione preoccupante dell’oppio spinse l’’imperatore, già nel 1729, a proibirne in Cina la vendita e l’uso limitandone l’importazione solo per uso medico. Anche l’imperatore Jiaqing, nel 1813, cercò, vanamente, di arrestare la diffusione della droga agli strati più bassi della popolazione (il consumo tra le elite non era considerato un problema), ma negli anni ‘30 il consumo era ormai divenuto una moda ed una epidemia sociale. Soprattutto la parte meridionale dell’impero era largamente dipendente dall’oppio: come gli operai inglesi, anche i coolies cinesi, gli umili lavoratori impegnati nei compiti più pesanti, usavano l’oppio per alleviare le fatiche del lavoro; persino nell’esercito la dipendenza da oppio era diffusissima. Nel 1839 a Canton il commissario imperiale fece requisire e distruggere 20.000 casse d’oppio appartenenti ai mercanti inglesi e americani. In risposta, le truppe britanniche attaccarono la Cina, dando inizio alle guerre dell’oppio. Il trattato di Nanchino, che concluse la prima guerra nel 1842, garantì agli Inglesi l’apertura dei porti di Canton e Shanghai, il libero accesso dei loro prodotti nelle province meridionali con basse tariffe doganali e stabiliva la cessione della città di Hong Kong all’impero inglese. Le guerre finirono anche con l’incredibile imposizione alla Cina del “libero commercio di oppio”, una pagina tra le più vergognose del colonialismo europeo, che avrà come conseguenza oltre 100 milioni di fumatori d’oppio nei 50 anni successivi. (2008)
p.s. lo scrittore indiano Amitav Ghosh, tra il 2008 e il 2015, ha scritto una grandiosa trilogia sulla Prima Guerra dell’Oppio: “Un mare di papaveri”, “Il fiume dell’oppio” e “Diluvio di fuoco”, tre ottimi romanzi storici basati su un enorme lavoro di ricerca.
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