Carestie e socialismo
Dopo le tragiche carestie irlandese e indiana dell’Ottocento, alcune gravi crisi alimentari hanno colpito nel Novecento i due grandi stati socialisti, l’URSS, di Lenin prima e Stalin poi (oggi rappresentata soprattutto dalla Russia), e la Cina di Mao. “In Russia sono stati calcolati, dalla fine del primo millennio alla metà del 20° secolo, oltre 60 episodi di fame epidemica, molti dei quali provocati dalla siccità. Anzi, a ripercorrere gli ultimi cento anni della Russia ci si rende conto che i problemi alimentari provocati dalle ondate di siccità sono stati praticamente una costante. Sia la Russia degli zar sia l’Unione Sovietica hanno dovuto fare i conti con la siccità addirittura ogni 5-7 anni” (Massimo Cresta, voce Fame dell’Enciclopedia Treccani). L’Unione Sovietica – il primo stato socialista della storia – era nato nel 1918 nel pieno di una carestia, con la pena di morte per gli speculatori e i militari inviati nelle campagne a cercare grano; nel biennio 1921-1922 la prima carestia socialista scoppiò per una combinazione di diversi fattori: da un alto la pesante siccità che ridusse i raccolti, dall’altro 6 anni di instabilità e violenze, legate alla Prima guerra mondiale, alla Rivoluzione sovietica e alla Guerra civile; infine, le requisizioni forzate di prodotti agricoli voluti dal governo dei Soviet di Lenin. Il risultato fu una gravissima crisi alimentare per la popolazione che richiese un programma di aiuti internazionale “unico, gigantesco, memorabile” (nelle parole del grande scrittore russo Maksim Gorkij), portato soprattutto dall’American Relief Administration del futuro Presidente USA Herbert Hoover, che riuscì a sfamare almeno 7 milioni di persone. Nonostante lo sforzo titanico, i morti per la carestia furono circa 6 milioni, soprattutto per tifo e febbre ricorrente, dovuto all’indebolimento fisico della sottoalimentazione. La seconda carestia socialista del ‘900 fu la carestia sovietica del 1932-1933, durante gli anni della collettivizzazione delle campagne voluta da Stalin. Le autorità sovietiche procedettero alla deportazione di molti contadini, al loro inserimento forzato nelle fattorie collettive e a massicce confische di grano che provocarono una pesante carenza di cibo per 40 milioni di persone, con un numero di vittime compreso tra i 2,5 e i 7 milioni e una grande ondata migratoria verso Cina, Iran, Mongolia e Afghanistan. La carestia sovietica del 1946-47 è stata l’ultima carestia scoppiata in Europa. Come le due precedenti è legata a un evento climatico estremo (la siccità del 1946 che aveva messo in ginocchio oltre la metà dei territori cerealicoli), a un contesto storico sfavorevole (i 4 anni precedenti della II Guerra Mondiale) e a una scelta politica sbagliata (la cattiva gestione riserve alimentari da parte delle autorità). Per i sovietici questa carestia significò un numero altissimo di vittime – tra 1 e 1,5 milioni – e una riduzione del loro tasso di fertilità. La carestia cinese del 1958-1961 è stata – come numero di vittime – la più grave crisi alimentare del ‘900. Furono, infatti, tra i 15 e i 30 milioni le vittime del “grande balzo in avanti”, voluto da Mao Tse-tung. Come le altre crisi alimentari anche questa carestia fu il risultato di una serie di cause di ordine naturale, storico e politico: i raccolti ridotti per le condizioni climatiche avverse, il ritiro dei tecnici sovietici per divergenze ideologiche tra Stalin e Mao, l’adozione delle idee agronomiche di Lysenko, la collettivizzazione forzata delle campagne, l’eccessivo ritiro di cereali da parte delle autorità. Lo storico dell’economia irlandese Cormac O’ Grada, autore di “Storia delle carestie” (2011, Il Mulino) ha sottolineato l’apparente paradosso delle gravi carestie socialiste con i milioni di vittime delle fasce più vulnerabili della popolazione in regimi nati per combattere la povertà. (nella foto un’immagine ufficiale della campagna cinese per il “grande balzo in avanti”)
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