Per gran parte della nostra storia il sale è stato più prezioso dell’oro e – per questo – veniva chiamato l’oro bianco. Oggi è diventato un problema di salute. Il rapporto con il sale è sempre stato problematico per la nostra specie. Per i nostri antenati il vero problema era quello procurarsi il sale, in quanto elemento fondamentale per il funzionamento di tutte le cellule. In natura c’è pochissima disponibilità di sale; nella frutta e nelle verdure, nei cereali e nei legumi, il sale è presente in quantità minima; gli animali carnivori risolvono il problema mangiando animali erbivori; gli animali erbivori fanno molta fatica a trovare il sodio: gli stambecchi sfidano la gravità per leccare il salnitro presente su alcune rocce. Non va meglio per le popolazioni tradizionali che vivono come i nostri progenitori: nella dieta a base vegetale degli aborigeni brasiliani l’apporto di sodio è meno di 1,5 g al mese con conseguente pressione bassa (valori medi di 95 su 60). Poi la situazione si è capovolta: con la produzione su scala industriale, il sale è diventato un fondamentale conservante invernale – per pesci e carni in particolare – e ha iniziato ad essere sempre più utilizzato nei prodotti confezionati e nella cucina domestica. Salisburgo, conosciuta in tutto il mondo per aver dato i natali la genio di Mozart, deve il suo nome alle miniere di sale, così come la Via Salaria, dei Romani e il salario come sinonimo di compenso economico; sono solo tre esempi di quale fosse l’importanza del sale nel passato. Il nostro metabolismo, pertnato, si è adattato – per migliaia di anni – ad una dieta povera di sodio. Solo negli ultimi decenni l’alimentazione occidentale si è caratterizzata per l’eccessiva presenza del sale nei cibi. La grande diffusione di fast-food, cibo-spazzatura  e cibi già pronti (cibi processati)  si è tradotta in una pandemia di ipertensione, oltre un miliardo di persone nel mondo con la pressione arteriosa troppo alta. Che cosa vuol dire avere la pressione alta? Intanto chiariamo che l’ipertensione non è una malattia, ma un fattore di rischio per altre malattie, soprattutto a carico di cuore, vasi e reni. Per sapere se siamo ipertesi, dobbiamo misurare la nostra pressione arteriosa, ossia l’energia con la quale il sangue circola nei vasi sanguigni; il suo valore dipende fondamentalmente dalla spinta che il cuore imprime al sangue e dall’elasticità dei vasi. I valori della pressione arteriosa sono estremamente variabili; tendono progressivamente a salire con il passare degli anni; anche nel corso della giornata la pressione oscilla ampiamente (ce ne accorgiamo se facciamo un esame della pressione nelle 24 ore); è più alta al risveglio e tende a scendere durante il giorno; inoltre, aumenta in caso di stress, sia fisico che mentale. Dal 2003 si è stabilito che i valori normali massimi della pressione arteriosa sono 140 mm Hg per la pressione sistolica (la massima) e 90 mm Hg per la pressione diastolica (la minima). L’eccessivo introito di sale rappresenta oggi – insieme a fumo, alcol, obesità e sedentarietà –  il principale fattore di rischio per le malattie prevenibili. Se si riuscisse a ridurre del 15% la quantità di sale giornaliera, potremmo evitare 8,5 milioni di morti in 10 anni in tutto il mondo. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole ridurre l’assunzione di sale a meno di 5 grammi al giorno entro il 2025. Per noi Italiani significherebbe dimezzare il consumo attuale. (nella foto la salina di Pirano in Slovenia) (segue)