Un calcio al razzismo. I vergognosi ululati e i cori razzisti nei confronti del giocatore francese – di origini senegalese – Kalidou Koulibaly del dicembre 2018 non vanno sottovalutati né minimizzati. Da diversi anni è in atto in Italia – e in altri Paesi europei – un’escalation di violenza e intolleranza per tutto ciò che non è made in Italy. Il calcio è lo sport più popolare del nostro Paese, ma il razzismo di molte curve calcistiche non è la norma, è una pessima eccezione da combattere e stigmatizzare. Negli altri sport le cose vanno diversamente e ogni giorno centinaia di migliaia di giovani fanno integrazione, giocando con coetanei di diverse nazionalità e provenienze senza alcun problema. Nel calcio femminile, ad esempio, il colore della pelle non è motivo di intolleranza: Sara Gama ha il padre congolese e questo non le ha impedito di diventare la capitana della nostra magnifica nazionale che ha centrato la qualificazione ai mondiali, fallita dai maschi. Il mondo della pallavolo – sia maschile che femminile – da diversi anni è la punta di diamante dell’integrazione nello sport; la nostra federazione nazionale – la FIPAV – in particolare promuove e valorizza i valori di solidarietà e fratellanza tra chi gioca, premiando le società più attive in questo senso. La nostra nazionale femminile si è laureata nel 2018 vicecampione del mondo con una squadra giovanissima: la leader Paola Egonu è nata nel Veneto da genitori nigeriani, l’altra stella – Miriam Sylla – è siciliana, ma i suoi genitori vengono dalla Costa d’Avorio. Dal 1997 si tengono ogni anno in Italia i Mondiali Antirazzisti, una manifestazione nata dalla collaborazione dell’UISP Emilia Romagna con l’Istituto Storico per la Resistenza di Reggio Emilia (www.mondialiantirazzisti.org); nei prati di Bosco Albergati, in provincia di Modena, per una settimana si incontrano centinaia di squadre di calcio e calcetto, pallavolo e basket, touch rugby e lacrosse,: 50 nazionalità e oltre 7.000 persone insieme nel segno del dialogo e del rispetto con concerti serali e dibattiti sull’antirazzismo. In conclusione, sin dalla sua nascita – alla fine dell’800 in Inghilterra – lo sport moderno non è mai stato un’isola felice di integrazione, senza razzismo e senza discriminazioni. Oggi la perdurante crisi economica dell’Occidente e le grandi migrazioni (legate anche ai cambiamenti climatici) potrebbero portare a una recrudescenza dei fenomeni di intolleranza e di razzismo. Per questo sarà importante puntare sull’enorme valore formativo dell’attività motoria e dello sport. L’allenamento e il gioco sportivo possono creare integrazione, migliorando le persone. Con lo sport e il gioco la comunicazione tra persone è immediata, poiché lo sport è uno dei pochi linguaggi universali che tutti capiscono. E’ un farmaco senza effetti collaterali. E oggi è anche un antidoto al veleno razzista che sta venendo fuori. (nella foto la locandina dei Mondiali Antirazzisti del 2017)