Impegnati a smettere” è lo slogan della campagna lanciata quest’anno dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità per la Giornata mondiale senza tabacco (World No Tobacco Day). Dal convegno – trasmesso in streaming dall’Istituto Superiore di Sanità il 31 maggio – sono emersi diversi importanti aspetti legati al tabagismo. Il primo punto, naturalmente, è l’impatto del fumo sulla salute pubblica mondiale. Da diversi anni la dipendenza dalle sigarette e dagli altri prodotti con tabacco presenta un bilancio sanitario inaccettabile: circa 8 milioni di vite perse a causa dimalattie cardiovascolari,  tumori e malattie respiratorie. Un’altra tendenza confermata è la maggior distribuzione dei decessi nei Paesi a basso reddito, soprattutto per le aggressive politiche pubblicitarie dell’industria del tabacco, i cui nuovi clienti di riferimento sono gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo con legislazioni pubblicitarie sui prodotti a base di tabacco inesistenti o inefficaci. In Paesi dell’Africa come Benin, Burkina Faso e Nigeria, nell’India, in Indonesia e in altre zone del Sud-Est asiatico i profitti delle grandi multinazionali non conoscono limitazioni; le pubblicità delle sigarette sono fatte a pochi metri dalle scuole primarie e secondarie, spingendo bambini e giovani al consumo e aggravando le disuguaglianze economiche. Il terzo aspetto preso in considerazione è il legame tra il fumo e l’attuale pandemia; in tutti gli studi è emersa l’evidenza che i fumatori hanno maggiori probabilità di sviluppare una forma più grave di COVID-19 rispetto ai non fumatori e ciò dovrebbe smentire una volta per tutte le false notizie sui presunti aspetti protettivi della nicotina nei confronti del coronavirus. Un’importante parte dei contributi ha riguardato la situazione del nostro Paese. In Italia il consumo di prodotti del tabacco continua ad essere la principa­le causa di morte e malattia prevenibili, con oltre 93.000 vittime. La pandemia ha comportato un aumento di 1,2 milioni di fumatori, tra sigarette e prodotti alternativi. Un anno fa fumava il 21,9% della popolazione, a novembre il 24%, oggi il 26,2%. Degli oltre 11 milioni di tabagisti gli uomini che fumano sono 5,5 milioni, 300.000 in meno dei 5,8 milioni di donne fumatrici (studio dell’ISS in collaborazione con l’Istituto Mario Negri). Il negativo sorpasso di genere riguarda anche le giovani generazioni, con le sigarette da alcuni anni più diffuse tra le ra­gazze adolescenti rispetto ai loro coetanei (23,6% vs. 16,2%, secondo l’indagine GYTS, 2018). Il dato appare molto preoccupante per il maggior impatto del fumo sulla salute cardiovascolare delle donne: le fumatrici hanno mediamente il primo infarto 14 anni prima delle coetanee che non fumano. L’ultimo aspetto non trascurabile legato alle sigarette è il loro costo ambientale; le oltre 4000 sostanze chimiche di cui sono composte aumentano il particolato fine (PM 2.5) dell’aria che tutti respirano; i mozziconi di sigaretta, inoltre, in molti mari (come il Mediterraneo) possono rappresentare il 40% dei rifiuti, il quadruplo delle bottiglie di plastica. Ridurre il consumo di tabacco avrebbe un impatto positivo su molti aspetti della nostra vita: sulla salute umana complessiva, sulle disuguaglianze, sugli effetti della pandemia, sulla salute delle donne e delle nuove generazioni, sull’ambiente e sull’inquinamento marino. Per questo la Commissione Europea ha presentato un Piano Europeo di Lotta contro il Cancro (Europe’s Beating Cancer Plan) con l’ambizioso obiettivo di arrivare entro i prossimi 20 anni a una “generazione senza tabacco”, con meno del 5% della popolazione fumatrice (contro il 25% di oggi) e con l’obiettivo intermedio di ridurre nei prossimi 5 anni del 30% tutti i prodotti a base di tabacco (nella foto un’immagine della campagna World No Tobacco Day 2021).