La longevità è enormemente aumentata nelle varie epoche. L’aspetto più singolare di questo allungamento della longevità è che è avvenuto senza apporti significativi da parte della medicina. Hanno avuto un ruolo preponderante, invece, la miglior distribuzione del reddito – che ha permesso un’adeguata nutrizione l’abbattimento della mortalità infantile e il notevole miglioramento delle condizioni igieniche; un peso non trascurabile va attribuito anche all’aumento della scolarizzazione; in ambito sanitario, il contributo decisivo è stato lo sviluppo di vaccini; infine, lo sviluppo di farmaci efficaci – soprattutto antibiotici – e di cure mediche. Oggi l’aspettativa di vita alla nascita è di 83 anni in Giappone e di 82 nel nostro Paese, che vanta una percentuale altissima di centenari; la healthy life (aspettativa di vita in salute accettabile) in Italia è di 73 anni. I record di longevità di Italia e Giappone sono dovuti, soprattutto, agli stili alimentari salutari dei due Paesi. Un’alimentazione corretta nella terza e nella quarta età, infatti, può ritardare l’invecchiamento e permette di evitare alcune malattie proprie della vecchiaia. Per molti anziani alimentarsi, però, può essere un problema. Fattori socio-economici, elementi psicologici e preferenze alimentari, abitudini familiari, precetti culturali e religiosi, lo stato di salute, sono tutti elementi che influenzano l’alimentazione in ogni fase della vita e in modo particolare in questa fascia d’età. In Italia gli anziani sono l’unica classe di età a rischio malnutrizione; la malnutrizione riguarda circa il 10% degli anziani che vivono a casa, il 20-50% in ospedale, 30-60% in case di riposo. Le conseguenze della malnutrizione nelle persone anziane sono gravi: si riducono ulteriormente le difese immunitarie; nelle persone allettate aumentano le piaghe da decubito; in generale, la malnutrizione degli anziani comporta più ricoveri in ospedale e più rischi di morte. Particolarmente tra gli anziani, inoltre, si trovano pregiudizi nei confronti di molti alimenti: dal latte alla carne, dalle verdure ai legumi. Un altro problema è rappresentato dalla difficoltà di masticazione, con il conseguente rifiuto dei cibi duri e la preferenza per quelli morbidi o comunque tritati. A volte i sensi del gusto e dell’olfatto si riducono: aumenta di circa 3 volte la soglia di percezione del dolce, di quasi 12 quella del salato, con conseguente perdita di sapore per molti cibi. L’apparato digerente degli anziani mostra, in genere, una diminuzione dell’assorbimento dei nutrienti ed un aumento del tempo di transito degli alimenti; questo spesso si traduce nell’eliminazione dalla dieta di alimenti utili. Il rischio maggiore per tutte le persone in questa fascia di età è quello di mangiare in modo monotono e squilibrato. Un problema che riguarda tutte le fasce sociali meno protette, anziani in primis, è la disponibilità di risorse per la spesa: per molti anziani – soli e indigenti – l’acquisto di cibi di qualità scadente una necessità più che una scelta. Per tutti questi motivi le carenze nutrizionali possono riguardare quasi tutti i nutrienti: deficit proteici, deficit calorici (negli anziani sottopeso), carenze di calcio, con conseguente osteoporosi, carenze di ferro, con possibili anemie, carenze vitaminiche (in particolare vitamina D e B 6). Concludiamo con l’importante studio su persone della fascia 70-90 anni seguite per 12 anni dal 1988-2000, pubblicato su JAMA nel 2004; dall’indagine è emersa una notevole riduzione della mortalità negli anziani che seguivano la dieta mediterranea (- 23%), che svolgevano un’adeguata attività fisica (- 37%), che non fumavano (-3 5%) e che usavano poco alcol (– 22%). Ecco la formula della buona longevità (nella foto Giuseppe De Nittis, Pranzo a Posillipo, 1879). (2007)