Pianeta obeso: le conclusioni
Una parziale panoramica sulla diffusione dell’obesità nel mondo ci dice alcune cose importanti. La prima osservazione riguarda i due colossi demografici mondiali, India e Cina, ma per estensione tutti i Paesi cosiddetti emergenti: una brusca modifica dei regimi alimentari associata al crollo dell’attività fisica produce inevitabilmente una massa di popolazione obesa che rappresenterà un enorme problema in termini di salute pubblica e di spesa sanitaria. Passare da pasti a base di riso con verdure con piccole quantità di pesce e legumi ai fast-food americani, passare dal trasporto a piedi o in bicicletta ai motocicli o alle macchine, sta conducendo due miliardi e mezzo di cinesi e indiani alle patologie cronico-degenerative dell’occidente: diabete, ipertensione, tumori, obesità.
La seconda osservazione si riferisce al continuo processo di urbanizzazione che ha portato tre anni fa, per la prima volta nella storia dell’umanità, al sorpasso della popolazione urbana rispetto a quella rurale. Nel maggio del 2007 gli studiosi di demografia hanno calcolato 3.303.992.253 abitanti cittadini, contro i 3.303.866.404 rurali. Il divario continuerà ad aumentare a favore delle città. Entro il 2010 si prevede che negli agglomerati urbani vivrà il 51,3% della popolazione mondiale, che salirà al 60% nel 2030. L’associazione tra obesità e urbanizzazione è evidente e tutte le ultime ricerche la confermano, in particolare quelle svolte sulle comunità emigrati da Paesi in via di sviluppo a Paesi industrializzati.
L’ultima osservazione è sulla velocità con cui queste trasformazioni si stanno verificando. Con ogni probabilità queste popolazioni hanno cumulato nel corso della loro storia frequenze genetiche che favoriscono la rapida comparsa di obesità, diabete e ipertensione, per la lunga convivenza in ambienti contrassegnati da gravi carenze nutritive. Il rischio, allora, non è solo che venga ripercorso il nostro percorso occidentale, ma che questo avvenga in tempi molto più rapidi e senza le necessarie risorse per affrontare l’impatto sociale ed economico delle nuove patologie. (2008)
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