“Razze” e razzismo: le prime non esistono e non sono mai esistite, il secondo ha una storia lunghissima e ciclicamente riemerge in forme diverse. Che cosa significa esattamente il termine “razza“? Secondo il dizionario etimologico di Cortellazzo e Zolli con il termine “razza” si intende l’insieme degli individui di una specie animale o vegetale che si differenziano da altri gruppi per “uno o più caratteri costanti e trasmissibili ai discendenti”. Il problema, già notato da Darwin, è che passando da una popolazione ad un’altra vicina vi è sempre una gradualità nella variazione di tutti i caratteri. Anche l’analisi più precisa mostra che discontinuità di caratteri genetici nelle mappe geografiche si riscontrano di rado. Il “razzismo”, invece, è la convinzione che una razza sia biologicamente superiore alle altre. I razzisti si preoccupano di “mantenere la purezza della razza” perché questa supposta superiorità non venga a cessare. La realtà – dice uno dei maggiori genetisti viventi, Luigi Luca Cavalli Sforza – è che nella specie umana il concetto di razza non serve a nulla.
Il concetto di razza è, infatti, così vago che potremmo arrivare a considerare una popolazione come “razza” solo se fossimo pronti a definire migliaia di razze diverse con piccolissime differenze tra le une e le altre. La struttura delle popolazioni umane è estremamente complessa e varia da regione a regione, da popolo a popolo; vi sono sempre sfumature, dovute a continue migrazioni entro e attraverso i confini di tutte le nazioni che rendono impossibili separazioni nette. Le persone sono simili a quelle geograficamente vicine e diverse da quelle geograficamente lontane. Dividere le popolazioni umane in 5,6 grandi “razze” o gruppi razziali è un fatto arbitrario, non naturale.  Si tratta di politica, di bassissima politica, non di biologia.  Alla sacrosanta domanda di chi si interroga sul perché le popolazioni umane sembrino così diverse tra loro, va risposto che la diversità è il risultato dell’adattamento ai diversi climi ed ambienti. Un nigeriano, uno svedese ed un italiano sembrano diversissimi perché vivono lontani e si sono pertanto adattati ad ambienti diversissimi.  Persino le popolazioni di Homo neanderthalensis praticavano forme di scambio commerciale. Come ha scritto qualche anno fa Jonathan Marks (2003), “dove viaggiano le merci, viaggiano anche i geni”.  Sembra, infatti, che non ci sia mai stato un periodo storico o preistorico nel quale gli uomini abbiano vissuto soltanto negli angoli più remoti del mondo. La purezza genetica, pertanto, non esiste nelle popolazioni umane; se per assurdo predisponessimo un “programma di allevamento” che preveda il continuo incrocio tra parenti molto stretti, come il matrimonio tra fratelli e sorelle, cosa vietata da tutte le leggi, anche dopo 20, 30 generazioni non si riuscirebbe comunque ad ottenere un ceppo perfettamente “puro” in cui la variazione genetica sia scomparsa.

In conclusione: in tutti gli ambiti biologici gli individui somigliano a quelli che sono loro vicini geograficamente e differiscono da quelli che sono loro lontani; anche la nostra specie presenta delle variazioni graduali e continue che, nel passato, a cominciare da Linneo a metà ‘700, sono state arbitrariamente trasformate in razze, nello stesso modo in cui il tempo – entità continua – è stato diviso in ore, giorni e settimane. (5-2011)